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Cultura/Libri su Avenza
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Autore Giovanni Alibani Unione tipografica Piacentina Pubblicazione 1973
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Cultura/Libri su Avenza
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I testi sono di Pietro di Pierro le riproduzioni fotografiche di CINEFOTO BRIZZI - Avenza. Copyright Anspi Avenza Prima edizione novembre 1996 L'Ecoapuano Editore
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Cultura/Dialetto
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Il dialetto carrarese, a volte chiamato anche dialetto carrarino (localmente 'l cararìn o 'l cararès) è un dialetto della lingua emiliano-romagnola parlato nella città di Carrara e in aree limitrofe, che ne costituiscono una vera e propria isola linguistica tra l'area toscana e l'area ligure-lunigiana. Fa parte del gruppo gallo-italico. Il dialetto carrarese, pur essendo la città di Carrara in Toscana, presenta caratteristiche molto simili al dialetto modenese ed al dialetto frignanese, venendo spesso incluso fra le varianti dialettali della lingua emiliano-romagnola, e rimanendo fuori dall'insieme dei dialetti toscani, con cui non ha legami di parentela diretta, pur essendo comunque un dialetto neolatino. La presenza di un dialetto di tipo settentrionale in Toscana (al di sopra della linea Massa-Senigallia) è dovuta al fatto che la città di Carrara e la zona circostante furono dominate per lungo tempo dal Ducato di Modena e Reggio, che considerava Carrara come il suo naturale sbocco al mare. Gli influssi culturali furono tali da creare una sorta di isola dialettale, con una parlata differente al dialetto lunigianese, che, seppur con molteplici sfumature, rimane abbastanza omogeneo nella bassa (provincia della Spezia) e media lunigiana (provincia di Massa-Carrara), mentre cambia radicalmente nell'alta lunigiana, a Pontremoli e Zeri.
Perciò il carrarese, pur trovandosi oggi in Toscana e relativamente vicino alla Versilia, non ha contatti di parentela con il toscano, da cui ha ricevuto pochissimi influssi e prestiti (ad esempio la e aperta come in "bè ne, "il toc" - in toscano il tocco, la granata ecc.), tanto che i locutori del carrarese si sentono psicologicamente non toscani; difatti un lunigianese o un carrarese, quando si sposta oltre Massa dice: "vado in Toscana". Nella stessa "isola dialettale" del dialetto carrarese, esistono comunque varie piccole sfumature, che si possono dividere nel carrarese montano, cittadino, avenzino e marinello; questi ultimi due differiscono leggermente dai primi dato che questi territori sono insediamenti più recenti e dunque hanno loro malgrado ricevuto influenze liguri-lunigianesi. Per poter ascoltare la vera parlata carrarina stretta, oltrechè consultare persone anziane, è bene recarsi nei paesi pedemontani quali Codena, Bedizzano, Colonnata ecc, anche se negli ultimi anni la popolazione di questi paesi è molto diminuita.
Accento Il dialetto carrarese si caratterizza per una marcata forma d'accento: unico caso di tutta l'alta Toscana, si tratta di un accento detto accento cacuminale, il quale può sembrare simile all'accento sardo, ma che in realtà si pensa derivi direttamente dall'eredità linguistica lasciata dalle popolazioni liguri-apuane che abitavano questo territorio (ciò non è esplicitamente suffragato da prove concrete, ma in alcuni scritti del X-XI sec. si fa riferimento alla strana parlata delle genti delle valli apuane), poi amalgamatasi nel tempo con le lingue romanze. Tale accento si può trovare, seppur di minore intensità , anche nei villaggi e paesi del versante apuano appenninico, come Vinca o Casola in Lunigiana, ecc, e, se si ascolta attentamente, anche nella parlata massese, la quale però ha subito a lungo influssi dalla vicina Versilia. Come riprova si osserva che questo accento non è nato solo nella città di Carrara ma era parte integrante di quasi tutto il comprensorio delle Alpi apuane. Le genti apuane furono sconfitte dai romani e massicciamente deportate nel Sannio ma mai del tutto estirpate dalle valli apuane.
Esempi di parole tipiche del dialetto carrarese 'ntend'r : capire (nella fraseologia anche: assaggiare) A-tè : intercalare utilizzato per richiamare l'attenzione di qualcuno; Almà nc : almeno; Armanèr : rimanere; Arguajar : rimediare, tovare; Arguajàrs : prendersi cura di se stessi; Arpiàrs : riprendersi; Badòti : castagne bollite, usato anche volgarmente per indicare i testicoli Bagàsh' : ragazzino che per guadagnare due spiccioli aiutava i cavatori trasportando secchi pieni di scarti del marmo (marmettole), storicamente è il ragazzino che nelle miniere doveva sottomettersi ai voleri del suo datore di lavoro anche sottoforma di molestie sessuali, da qui il termine Bagascia; Barbantàna : strega, talvolta la Befana; Baròz : carretto; Batacùl : capitombolo, capriola; Baìsha : saliva, "bausciòn": sbrodolone; Bèg : verme; Biashà r : biascicare, parlare con la bocca impastata; Bicèr : bicchiere (e specialmente bic'rin, soprattutto in riferimento ad una bevuta in compagnia, una sbic'rata); Bisìca : ansia, Bisènfio : satollo; Bòda : rana; Bòda Cozzala : tartaruga, letteralmente sarebbe "la rana col guscio"; Bòna : buonasera/notte, usato anche quando l'interlocutore non ha capito quello che è stato fatto intendere; Bòna : buona, bella; Bòz : bozzo, acquitrino, ragazza non attraente; Brind'lòn : penzoloni, larghi; Bubanìcia : Grillo-Talpa; Buscaiòl : Lavoratore che per buscarsi da mangiare eseguiva lavori pesanti, come il trasporto di lastre di marmo sulla schiena (specialmente al porto di Marina di Carrara); Buti : germogli; Butìn : bottino, concime biologico creato con acqua ed escrementi animali; Buzi : scarti (nel gioco delle carte); Cà : casa; Calcinèli: arselle; Calda Calda: cecìna, farinata. Impasto di farina di ceci e acqua cotta in forno, tipica ligure e toscana; Canèl : mattarello; Cantarà n : comè; Cap'leti : cappelletti, tortellini; Catà r : cosa, oggetto; Cià mpa : gamba, in senso spregiativo; ciampicòn è detto della persona maldestra che incespica sempre o si muove in modo goffo; Ciampà ta : pedata; Cicà la : cannocchia; Cicalòn : uno che butta via i soldi; Ciòc : pezzo di legno, colpo, rumore di qualcosa che è caduto o è stato colpito ("chiocco");nel carrarinno il gruppo"ci" viene sostituito da "Z" Cimùr : cimurro, inteso come: raffreddore; Còci : cocci, pezzi rotti; Cocòmbla : cocomero, anguria; Còli : cavoli; Coltròn : coperta pesante; Cròki : coccole; Cucià r : cucchiaio; Cunìggi : conigli; Cushì : così (tipico del massese); Cultèd : coltello; Dotòr : dottore; Drent : dentro; embr'z : embrice, "mus' a embr'z" si dice a persone dalla faccia schiacciata e "tegolosa", o a personaggi non molto scaltri; F'nòz : finocchio (in senso dispregiativo); Fant : o anche fantòt', giovanotto, in genere adolescente (più cresciuto di un M'nin, comunque) usato anche al femminile: fanta; Fava : genitale maschile; Ficòne/Ficonà ta : Pugno; Fòk : fuoco; Fòla : bugia, storia; Fruttìn : succo di frutta (nel brik o nella bottiglietta di vetro) Fugazìna : focaccia (salata), è particolarmente gustosa la "fugazìna con l'fioròna", ovvero la focaccina ripiena di fichi fioroni (privati del loro picciòlo), che maturano a Luglio; Furzìna : forcina per capelli; Gadèt : galletto (detto anche a uomini che voglion strafare); Ganàscia : bocca; Gargana : Interiora di Animale morto, specie di pesce; Ghiàz' : ghiaccio; Gòkia : ago; Gòm't : vomito; Gòm't : gomito; Gonèla : gonna; Granàta : scopa; Grembiàle : grembiule; Guàza : rugiada; Guèrc : cieco; Gusce : Gusci; Gnòri : coccole; Kiakiere : frappe; Kiòk : incidente, botto; Kiuìn : uccellino; Lav'lìn : zingaro (dispregiativo) Lèrfo : labbro (nelle sue varie accezioni) Liza : ("lizza") antico sistema di trasporto a valle dei blocchi di marmo, antecedente alla meccanizzazione del lavoro di cava; Lòz : spazzatura, concimaia, anche aggettivo "sporco"; Mà : madre; Magnàr : mangiare; Maràno : persona dai modi di fare bruti e maldestri "T' sen' un maràno"; Mic : asino/mulo; M'rlinzàna : melanzana; M'nin : (o anche ninin) bambino, giovane ragazzo (plurale M'nini); Mo' : adesso, ora; Mozkòd : fazzoletto; Mòzza : vagina; Mufo : dal colorito cadaverico; Mundiòla : mortadella; Mus : viso; da cui anche Musata nel senso di "dare una facciata contro qualcosa, in senso sia fisico che morale (nel senso di subire dei danni o una delusione a seguito di qualche decisione presa) Mùsc'li : cozze; Nemànc : nemmeno; N'ròn : livido; Nicò : tutto, letteralmente deriva da: ogni cosa; Nòna : nonna; Nonò : nonno; Nòta : notte; Oc : occhio; Ort : orto (anche ortzed, "orticello"); P'fàna : befana; P'lìn : pulcino; P'tèra : vagina; P'v'ròn : peperone; Pà : padre; Pan : pane; Par : sembrare, letteralmente "parire, apparire"; Paracqua : ombrello; Parpagliòn : pipistrello; Pè : piedi; Pidjàr : prendere; Pignàta : pentola/padella Piàc : pidocchio; Pir : palo, bastone (oppure un oggetto di forma simile) anche in riferimento ai sistemi di pali usati per sotenere le funi durante il lavor di cava; Pistàr: Cadere o picchiare. "Tra 'n po' a pìst' in tèra" vuol dire "Stavo per cadere", mentre "Mo' a t' pist'" vuol dire "Ora ti picchio!" Pit : tacchino; Pitukìn : capelli legati a coda di cavallo; Pizàta : puntura di zanzara; Pòd : pollo; Podàr : pollaio; Pòm' : mela Pomàta : pomodoro; Portsèm'l : prezzemolo; Raganela : pesce che vive tra le acque marine dotato di aculei sul dorso (tracina in italiano); Rasputìn : persona che si masturba spesso; Ravanèto : ammasso di detriti della lavorazione del marmo, scaricato lungo un pendio; (ala) Rinfùsa : a casaccio; Rèna : sabbia; Rènza : flautolenza; Rumàr' : mescolare; Rumènta : spazzatura; Ròtola merda : (oppure Borb'lòn) scarabeo stercorario; Ruza : collera; Sacòcia : tasca; Sbrijiàr' : distruggere, rompere "T' sbrij nicò": rompi proprio tutto; Sbrodjàr : sciogliere i nodi; Scapuciàr : scivolare (con probabile caduta) mentre si cammina; Scràna : sedia; Sgang'ràt' : sgangherato, rotto; Sgatinàr : vomitare; Sgrend'no : grezzo (nel vestirsi e nell'aggeggiarsi); Sguilàr: scivolare Shi : sì; Smalvàt : molle; Smilz : deperito; Smorzòni : fiammiferi; Smunt : deperito; Spampanàt : sfatto (mia nonna lo diceva per le rose troppo aperte); Sp'rlunzìna : piccola ecchimosi; Stànzia : stanza; Stèda : stella; Strinà t : bruciato, ustionato dal Sole; Tafòn : schiaffo; Taià rìn 'ntì fajòli : taglierini nei fagioli (piatto tipico della cucina carrarina), per essere particolarmente gustosi devono essere "bèdi potòni" e devono avere la "cotèna" dentro (cotenna del lardo di Colonnata, molto dura e salata, che diventa morbida cuocendo); Talènto : discorso senza senso oppure ovvio. "Che talenti!" cioè "Che discorsi..." Tansirè : "Tanto sarebbe", al limite, semmai: "T'ha magnat tuta la torta, tansirè.." (se la voleva qualcun altro); Tarpòn : topo/ratto; Tèkia : tegola o parete verticale di una cava (tecchia); il tèkiaiol è il cavatore specializzato nella liberazione dei detriti franosi dalla tecchia; Telesclerotico : arteriosclerotico; Topèti : piccoli gnocchi fatti a mano; Tordèli : Tordelli. Tipici i ravioli di carne e bietola di Marina di Carrara; Tràn : treno; Tronàta : botta contro qualcosa o rumore del tuono (trono); Trònco : scemo; (a) Ufo : gratis (deriva da: ad Usum FOri; al tempo dell'antica Roma era la frase siglata sui blocchi di marmo bianco, lo statuario, il più puro, proveniente dalle cave apuane e stava a significare che tale marmo era da destinarsi alle opere monumentali della Caput Mundi esenti da dazi; vec: vecchio (anche v'ciot, "vecchietto"); Verdòn: il pesce sgombro, sputo di catarro; Vòta : vuota; Vòta : volta; g'da t' : gelato; cinqui : cinque; cipòda : cipolla; zing'ri : capelli non curati; cicèrb'da : Cicerbita (pianta erbacea molto utilizzata per gli "erbi", ovvero varietà di erbe di campo bollite e servite con fagiolini dall'occhio, olio, un pò di pepe ed eventulamente polenta ciortèda : lucertola; zukèd : zucchina; zuk'r : zucchero;
Esempi di frasi in carrarese A i ò dit la rasòn : "Gli ho detto la ragione", dove "ragione" sta per discorso, o ancora meglio "Mi sono fatto intendere"; A fian 'l m'zin? : "Facciamo il mezzino?" riferito alle sigarette; A l'è drita com la via d' Codena : è stortissimo; A'l vorè duràta! : "E' l'ora di finirla"; A la bon'ora : "di buon'ora" detto con sarcasmo; A m' sòn ròt i badòti! : volgare, per indicare uno stato di insofferenza; A m' 'rman' 'n man : "mi rimane in mano", scioglilingua; A Uf an m' stuf : "Ciò che è gratis non mi stanca"; Atènt' k' t' t' tà i! : "Guarda di fare attenzione che rischi di procurarti un taglio"; Bela me Italia, com a l'è kunza mal : Bella la mia Italia, come è conciata male; Che zukèd!: Detto ad una persona per dire che si comporta stranamente, o che è duro di comprendonio. Com' al ven, al ven : come viene viene; Com'a vorè k'a t'fuss' nat'nà pècra! : "come vorrei che tu fossi nato una pecora", usato quando l'altra persona sta facendo disperare l'interlocutore; Cos a i è? : "Cosa c'è?"; Cos t' vò? : "Cosa vuoi?"; Cos t'è ? : "Cos'hai?"; Fis com un potò : "Fisso come un palo", per indicare un oggetto stabile o, soprattutto, una persona che si fa trovare molto spesso in un certo luogo; Giò Pitipò, quel' qi ved' ì vò, se al ved una cagàta i vò dar 'na licata, se al ved una pisciàta i vò dar 'n'assaggiata : "Giorgio Pitipò, vuole tutto quello che vede", si dice di solito a persone viziate che vogliono provare qualsiasi cosa o a persone che si chiamano "Giorgio"; I dur'rà quant un zukèd n' boca a n' porc : "Durerà quanto una zucchina in bocca a un maiale", ovvero durerà pochissimo; I en di qi scelti 'ntel maz : (sono di quelli scelti nel mazzo) sono i peggiori; I fa la bòda con le' là : "Fa la rana con quella là ", ovvero fa la corte a quella ragazza; I magn pù bota che pan : "Mangia più botte che pane", riferito a ragazzini pestiferi oppure a persone che vengono continuamente picchiate; I magn'rè ank 'l fisch al trèn : "Mangerebbe il fischio al treno", detto per intendere la voracità di qualcuno; I pì i topì to pà ? : Scioglilingua, letteralmente "Li prende i topi tuo padre?", o meglio "Tuo padre prende i topi?"; I vegn'n zu ank i bodeli/tarpon! : "Vengono giù anche i ranocchi/topi" quando piove tanto; La cava e la vita a l'en tuta na salita : "La cava e la vita sono tutta una salita", proverbio carrarese; L'alt'r dì : l'altro giorno; Le Grazie a l'stan a Spezia : "Le Grazie stanno a Spezia", formula usata per rifiutare ringraziamenti (il paesino de "Le Grazie" è un borgo in Provincia della Spezia"); Lè lì alè fora com'i terazi! : Quello li e fuori come un terrazzo, per indicare persona che si comporta in modo strano, ubriaco o stupido; Malaìt il pork : maledetto il porco, tipica frase che indica frustrazione, ansia o rabbia; Malaìt il can de ges' : maledetto il cane di gesso, come sopra; Ma mi lu' lì cum i è kunz : ma guarda quello come è vestito, per dire che è vestito male; Ma ti conviène? : tipica espressione che indica interessamento o sorpresa, nella scrittura identica all'italiano ma diversa nella cadenza. Usualmente è possibile sentirla alla stazione locale dei treni; Me al darè : tipico apprezzamento per indicare una bella ragazza; Me al kiok'rè : vedi topic precedente; Me mà a m' dà : mia mamma mi picchia; Mèt'r 'n tors' : mettere in ammollo; Mo' a te 'l diz me : "ora te lo dico" io, ma nel senso di "dare una lezione" a qualcuno; Mo' anch i av'nzin i vodjn' saper notar? : ora anche gli abitanti di avenza vogliono sapere nuotare? (chiaramente in segno di disprezzo); Mo' m' n' vai a cà : "ora vado a casa"; Mo' ti l'à 'n sacòcia : "adesso sei fregato"; Mo' t'sen d'l gat'! : (Ora sei del gatto)= Ora sei fregato Mus a pipa : Letteralmente "viso a pipa", detto di chi ha il naso o soprattutto il mento particolarmente prominente; N'do t' va? : "Dove vai?"; N'do t' la la forza? In te la petera? : "Dove l'hai la forza? Nella figa?"; N' t' rn'scìr col carbòn a canèli : "non dire cavolate"; Nesc 'mpo' da rumpir i badòti! : Levati di torno! (Lett: esci un po' da rompere i cotali); Nè Bèlo!? (o anche O Bèlo!?) : Letteralmente "O Bello!?", con tonalità interrogativa e scocciata, serve per evidenziare il proprio stato di disapprovazione in merito ad una data situazione; Nud e nato : Nudo come appena nato; Oh 'n mea! : Ohimè; O mea me : Mamma mia O q'd om!? (oppure O q'la dòna!?) : Letteralmente "O quell'uomo/quella donna!?", variante di "O belo!?"; Par mil ani : letteralmente "sembrano mille anni" usato nel senso "Non vedo l'ora; meno male". Es: "Par mil ani che finisce la scola!" Detto da un ragazzo, "Par mil ani che inizia la scola" detto da una mamma Pìn po' 'l pan' : "Prendi un po' il pane"; Pìn po' 'l parà k' al piov' : "Prendi un pò l'ombrello che piove"; Pìst' qi! : "Prendi questo!" in genere inteso più in senso morale che fisico (quando un interlocutore "segna un punto" a suo favore in una discussione); Pìst' chìe port' a cà Pogheti e sicureti : "Pochini ma sicuri", riferiti ai soldi, variante del proverbio meglio un uovo oggi che una gallina domani; Pov'ra no : Poveri noi; Su per i bricchi : su per i monti, usato in senso dispregiativo per indicare luoghi lontani e/o difficilmente raggiungibili T' l'à 'ntes? : l'hai sentito/capito/udito/assaggiato? T' mand tut in sicutòri : "Mandi tutto alla rovina, rompi tutto" detto a chi non tiene mai ferme le mani; T' sen magr' com' n kiuìn : "sei magro come un uccellino", non mangi; T' sen scèm com' la fioròna : lett:"sei sei stupido come i fichi fioroni" T' sen pròpi dur com 'l mur : "Sei proprio duro come il muro" detto a chi si ostina a non capire; T'à capit? : "Hai capito?"; T' m'a rot i badòti : mi hai scocciato!, mi hai rotto le scatole; T'a pu corni che un cest d' lumacheli;"Hai più corna che una cesta di lumache" detto a chi è stato tradito più di una volta T'à tut unt e t'à tut tint un tac : Scioglilingua, letteralmente "Hai un tacco tutto unto e tutto tinto"; T'ancamo' f'nit? : "Non hai ancora finito?" inteso come lamentela; Timilì timilèra : Usato come intercalare, significa "tra una cosa e l'altra"; Trinz com l'tabàc : "Trinciato come il tabacco", ovvero ridotto male, oppure al verde, senza soldi; Zup colènt : bagnato fradicio, letteralmente sarebbe "zuppo golento";
I Numeri 1 Un 11 Undz 100 Cent 2 Do 12 Dodz 1000 Mili 3 Tre 13 Tredz 4 Quatr 14 Quatòrdz 5 Zinqui 15 Quindz 6 Sè 16 Sedz 7 Sèta 17 Dizasèta 8 Ot 18 Dizòta 9 Nòvi 19 Dizanòvi 10 Dièz 20 Vinti
Elementi di grammatica Articoli 'l - la, singolare i - l', plurale un/'n - una/'na, articolo indeterminativo Pronomi Pronomi personali soggetto Me (io) Te (tu) Lu' - Le' (egli - ella) Noaltri (noi) Voaltri (voi) Lor (essi) Verbi Verbo essere Verbo avere (Me) a son (Me) a i è (Te) t'sen (Te) tè (Lu') i è - (Le') a l'è (Lu') i è - (Le') a l'è (Noaltri) a sian Noaltri aviàn (abian) Voaltri siet Voaltri avet (Lor) i en - a l'en (Lor) i è n - a l'à n
Prima coniugazione: "pagàr" (pagare) Seconda coniugazione: "mòv'r" (muovere) Terza coniugazione: "surtìr" (uscire) (Me) a pag (Me) a mòv (Me) a sòrt (Te) t'pag (Te) t'mòv (Te) t'sòrt I pag I mòv I sòrt Noaltri pagàn Noaltri movèn Noaltri surtìn Voaltri pagàt Voaltri movèt Voaltri surtìt Lor i pag'n Lor i mòv'n Lor i sòrt'n
Fonti Carla Marcato, Dialetto, dialetti e italiano. Il Mulino, 2004. Francesco Avolio, Fra Lingue e Dialetto D'Italia. Dispensa allegata al corso "Il Dominio Linguistico Italo-romanzo" dell'Università dell'Aquila. Auda Fucigna, 'L cararin. Artigianelli, 1968. Il glossario e gli esempi sono stati redatti in collaborazione con alcuni parlanti nati a Carrara.
Venerdì 03 Giugno 2011 | 37263 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Cultura/Dialetto
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I vari idiomi di Carrara in un cd di Cantarelli CARRARA. La città assomiglia a un quadro dipinto dal tempo: ma i quadri sono parole che escono dalla tela e ci attraversano, parole che abbiamo dentro da sempre, senza saperlo. Sono colori, contrasti... gli stessi della vita. Con queste parole, il cantautore carrarese Renzo Cantarelli ci presenta Stede d'tela, ultima produzione discografica dell'artista nostro concittadino. Il cd, ora in fase di rifinitura, sarà tra poco sul mercato e conterrà 12 inediti cantati nel nostro dialetto e frutto di una ricerca filologica di storie facenti parte della leggenda popolare. Da questo studio, sono nate canzoni ambientate nell'epoca storica della Carrara del Quindicesimo e Sedicesimo secolo, ma dai contenuti estremamente attuali. L'analisi di Cantarelli è approfondita e curata, soprattutto nella ricerca del dialetto più puro, al quale è stata affiancata un'attenta osservazione relativa alla provenienza dello stesso; nell'album, infatti, è possibile trovare brani in dialetto carrarese, così come in avenzino e marinello, idiomi simili, ma non uguali: la croza carrarina (croce), ad esempio, diventa «crocia» in Avenzino. Con la collaborazione di musicisti di livello nazionale, quali Vito Ulivi, Gianluca Minguzzi, Mario Ussi, Nillo Menconi, Pietro Bertilorenzi, ed Enrico Barbagli, sono state realizzate musiche con strumenti acustici, fatto che eleva ancor maggiormente la qualità del lavoro svolto. L'intento del cantautore è stato quello di contrapporre, nei testi e negli arrangiamenti, l'anticlericalismo storico di Carrara alle tradizioni popolari, sempre fondamentalmente religiose. Da questa antitesi, nascono brani come «Madunina» che ricorda il 24 giugno 1495, quando Carlo VIII era in procinto di entrare a Carrara per saccheggiarla; la popolazione, spaventata e impotente, si rivolse con supplica all'immagine della Madonna dipinta nei pressi della porta Ghibellina, ponendo simbolicamente ai suoi piedi le chiavi della città , come a volergliela affidare. E Carrara, venne inspiegabilmente risparmiata dal saccheggio. Storie popolari, insomma, radicate nella nostra terra e nella nostra cultura, che Cantarelli presenterà alla fine di luglio presso i giardini di Casa Pellini ad Avenza, per poi divulgare la propria opera nei paesi della nostra città , con il preciso intento di coinvolgere la gente per un connubio tra musica e rappresentazione teatrale. Alcuni assaggi del brano, saranno presto a disposizione sul portale www.avenza.it, sempre particolarmente attento agli eventi culturali della nostra zona. David De Filippi
Venerdì 03 Giugno 2011 | 4334 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Cultura/Dialetto
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Quante i torbati i van al mar. pig i bò e va a lavorar. - Quante i torbati i van ai monti pig i libri e fa i conti.
Volt la luna d' g'nar martidì a le carnoval. - A t'aspet 'n ginoc'òn con un sach d' macaròn.
Marz mugnòn i pel la capra e 'l montòn. - F'brar curt curt ig'à pù ner che un turch.
Pù che t'l'arum e pù al puz. - Vilan fa l' tò m'ster.
Marz chi a la l' bel ganba i va d' scalz. - Dicenbra, davanti a s' scald a daldret a s'ncendr.
April, tut i di un bacil. - Solchi storti e sachi driti.
AI tir pù un pel d' moza che cent para d' bò.
A pasqueta un oreta. A S'ant'Antoni un ora bòna. Santa Maria cir'sòla d'invern a sian fora. Pfana pfania tut l' festa a s'n van via. 'L porch sporch ingras.
Pù ch't' gir e pù lupi t' tròv. - Senza lilleri non si lallera.
Chi lasc, lasc al gal. - Chi al va con un zop i 'npar a zop'car. 'N cunpagnia anch un frat i pig' mog'a. Fat i Santi i fichi ig'en di fanti.
S'an vegn a Sant'Andrea aspet'm a Natal che a t' darà 'l colp mortal. I van d'acordi come 'l can e 'l gat. La galina c'al cant a la fat l'òv. Anzi che gnent, marit vec. Chi al da reta al c'rved d'i altri 'l so i s'l pò frig'r. Dim chi a sòn e nom dir chi a ier. Se I' canpana al son'n p'r gnent a n' son'n. Al paes di guerci biata a chi a la un oc. I parenti ig'en i denti. I cusin ig'en i quatrin. Se t'nà t' magn se 'n t'n'nà t' mus.
Povra a c'l vilan ch'i n' pens ogi p'r doman. I corni i port'n frtuna ma nisc'un i li vò. La socetà a le bela dispra e dò ig'en tropi. 'L bòn ig'è bòn ma 'l meg i vinc. 'L bò i da d'l cornòn a d'asn.
L' sp'dal i fa lum a la c'esa. Se t'n ven da san scìmìn port'l aret ch'i ne bòn.
P'r i scemi a ni è m'dcina. Povra i pov'reti. Quant al piòv al piòv a ca d' tuti. L'erba al divent fen ma 'l fen erba i n'arven. Se t' vò aver un amich dai tut quel ch'i vò. A chi a n'n' sapev gnent i n'an dal trentani. 'L fred e la fama i fan n'scir 'l lup da la tana. di Giovanni Alibani
Venerdì 03 Giugno 2011 | 3949 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Cultura/Dialetto
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L bar d'l Mancin sul ponte di Avenza. dagli anni '70 ad oggi. ha visto avvicendarsi diversi proprietari e gestori. Uno di questi, a cui va il merito di averlo modernizzato, dopo averlo rilevato decise di renderlo più accogliente; fu dato inizio ai lavori alla cui fine seguì un rinfresco di inaugurazione che durò tutto il giorno, e tutta Avenza partecipò alla festa, anche perchè il proprietario era una persona conosciuta (pur non essendo di Avenza). Di nobili origini napoletane, si era fatto strada svolgendo. da artigiano, una professione che non tutti vorrebbero fare. (svuotamento dei pozzi neri e spurgo fogne) e che svolta con serietà e dignità gli aveva dato modo di farsi conoscere e stimare. Aveva cambiato anche nome al bar. ed essendo di nobili origini pensò bene di esporre anche lo stemma del casato;"mal gliene incolse", come si suoi dire, difatti nel bei mezzo della festa, ad un tavolo dove erano seduti Bibio, Silvie. Palmin, ed altri, il nuovo proprietario si avvicinò per sentire se tutto era di loro gradimento. rispose Bibio per tutti : - T'afat un bel Bar, al'è tut bon, anch il vin. Però... però. a t ' dev far n 'apunt. - Dimmi Bibio! rispose già allarmato. -'Nd'l'Stema d'Fami(d)gia ai manc qualcò ! - Che cosa ? Replicò ormai certo di essere caduto in trappola. Bibio si aggiustò bene sulla sedia, si schiarì la voce e con tutta la potenza della sua voce nasale, sparò : - 'Lforcon dal loz. e la pipa dal buitin. Racconto tratto dal libro "UN ZIGHININ D'L'AVENZA" scritto da FRANCO MENCONI
Venerdì 03 Giugno 2011 | 3557 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Cultura/Dialetto
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L' FRED CALD Parlando di ambienti di lavoro è stato emblematico l'episodio avvenuto nella officina della segheria (di marmo) Donati. Carlo Tigneta vi lavorava come tornitore In ogni segheria esisteva una officina meccanica per il pronto intervento e la riparazione, dei macchinari atti alla lavorazione del marmo. L'officina, nella segheria di "Donati", dove lavorava Carlo d' Tigneta, con la mansione di tornitore, era l'esempio di come i padroni abbiano sempre considerato la manutenzione un male necessario, su cui non vale la pena di spendere una lira. L'officina era un capannone tutto vetrate, o per lo meno lo sarebbe stato quando in un futuro improbabile avrebbero messo i vetri. Era gennaio, uno di quegli inverni che i ricordi ci dicono freddissimi. Carlo è dietro al suo tornio, l'inseparabile "pepelina" ben calzata sulla testa, la sciarpa arrotolata attorno al volto lascia scoperto solo gli occhi, le spalle ritirate, ed ogni tanto un brivido lo scuote. Entra, in quella ghiacciaia Donati, il padrone. Questo il dialogo : -Adora Carlo, a ne propri fred.... è ? Carlo reclina un poco il capo e ripete l'ultima vocale -E'? Donati se ne va. Il mattino dopo la scena si ripete. - Adora Carlo, a ne propri fred... è ? Carlo lo guarda, reclina su un lato il capo, e : E' ? t't'sen v'nut a scaldar ? Racconto tratti dal libro "UN ZIGHININ D'L'AVENZA" scritto da FRANCO MENCONI
Venerdì 03 Giugno 2011 | 3274 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Un tranquillo pomeriggio, nel bar di Marco d'Napulion, 'n "Savrudin", alcuni avventori giocavano a carte in mezzo a una nuvola di fumo. Selico, Babuina. Paraquì, Gineto, Gaultiero probabil- mente erano del gruppo, litigavano e si mandavano a quel paese ogni qualvolta le carte glielo permettevano... una giornata noiosa. Marco guarda i suoi clienti mentre giocano, ma il suo pensiero costante è quella bottiglia lassù in alto, quella che dopo tanto tempo è ancora da stappare. E il ricordo corre a quel giorno d'inverno; credendo di essere solo dentro il bar, il grembiule, come sempre arrotolato e infilato da una parte nella cintola, le braccia appoggiate alla macchina del caffè, gli occhi in alto a guardare quella bottiglia ingrata, aveva esclamato ad alta voce: - "S'al fuss per tè a magn'rè". La notizia che Marco parlava con le bottiglie (piene) fece il giro del paese in men che non si dica. Fu risvegliato dai suoi pensieri da una voce "fòresta", e gli sembrò che gli stesse chiedendo una informazione, guardò in faccia colui che tanto aveva osato e gli chiese di ripetere. - Le stavo chiedendo se conosce la signora Ida Braida, è tutto il pomeriggio che sto chiedendo ma nessuno mi sa dire dove abita. Il paese non è poi così grosso come è possibile che nessuno la conosca ? Marco rispose che in effetti anche lui non conosceva questa signora e che ad Avenza era molto usato il soprannome, o sapeva quello o era un problema rintracciarla, e così dicendo si rivolse verso i suoi clienti, che nel frattempo come un tutt'uno si erano zittiti e girati verso quello "straniero". 'L ragionier ripetè¨: - "Braida Ida", Ida... ci pensò su ancora qualche istante: - A n' sirà mica la Ida d'la Bastarda ? Marco pensieroso replicò: - Chi ? so ma' del Sciacal ? E', al po' esser. Lo straniero più che risentito sbottò: - Come vi permettete di offendere la Braida? E' mia parente. A questo punto il Ragionier rivolgendosi a Babuina chiese: - T'a 'ntes ? second tè, che Ida a le'? A l'ha mica un fì(d)giol chi son il piano ? -No/fu la risposta. - Adora.... a le' a là, la Ida d'la Bastarda. Lo sdegno avvampò negli occhi del malcapitato, con la voce stizzita gridò : - Vi denuncio tutti. Dovete smetterla di offendere la gente. 'L Ragionier si alzò in piedi a prendere le difese di quello sconosciuto. - la rascion... è ! Mo' a le'ora d'f n'irla. Braida Ida ha detto, (passando dal dialetto all'italiano) Braida. ripetè ancora. -Ma, so ma' (riprendendo il dialetto e rivolgendosi ai suoi compari), so ma ', chi a le' ? - "La Bastarda". Dissero in coro. Lo videro allontanarsi che lanciava tuoni e fulmini, si guardarono tutti in faccia ed 'I Ragionier parlò per tutti: - Speriamo che doman a n 'arven un 'altr. Racconto tratti dal libro "UN ZIGHININ D'L'AVENZA" scritto da FRANCO MENCONI
Venerdì 03 Giugno 2011 | 3642 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Tanti ani fa, la zona ndustriale a n'esistev p'r gnent e 'ndov'mò a iè tut chi stabilimenti nozivi e pussolenti, a i er di paduli, mace e mazere che a la stata a d'er'n piene d' Lisci e d' zortede, drent ai fosòn a i er tante qualità d' pesci, i arnoc'li i cantav'n di e nota, i parev'n al s'rvizi d'la R.A.I. ma p'r lor a n'esistev ne 'l prim "l s'gònd canal, la musica ad'er senpr quela, ma a disturbarla i er'n i p'scatòri che con i lami e la nase i fev'n rassia, ma a i n'er mai tanti che a d'er come rincar un pel a un bò. Le ca, a s' contav'n con i diti, ad'er'n sparse una 'n qua e una 'n la, a d'er'n ca fate a la bòna. senza tante storie, bagn, sala e via d'scorend, p'rchè a ch'i tenpi li a ni er tut c'l'anbiziòn che a iè mò, la zenta che a i stev drent a d'er p'u che contenta. 'N t'una d" c'iè ca li, a i stev una famigia d' quatr p'rsone, Ba, Ma e dò figiòli, i vivev'n d' stenti p'rchè la terà al frutav pogh e quindi a i er pogh da ros'gar, d'nvern a d'ndev a lagh e d'stata a l' strinav nicò. 'L Ba il ciamav" n panzòn p'rchè i er smilz come una cana, però i er san come un bus'l, i avev un par d' bafi ch'i parev'n fati con la barbagia d'l granturch. Lui i viazav quasi senpr d' scalza e sot a i pè i avev la peda che an s'n' bucav nemen con la (riveda, i portav i calzòn tuti artopati, i er'n senpr queli che aia dat 'l govern 'n t'l tenp d'la guera d'l 15-18. La Ma a s' ciamav Culunbina. a d'er una dona tracognota e tonda come un rap, al portav senpr un fassolet ner 'n testa c'a si v'dev sol 'l mus e ch'i dò ucin sbatuti, a si l'zev drent quant al sufriv c'la pov'ra dona. ma a d'er tanta bòna che a n' s' lam'ntav mai p'r paura d' dar di d'spiazeri al marit e ai figiòli. I figiòli i avev'n dizot ani, i er'n z'medi, un i s' ciamav Pie e c'd'altr Batì, i avev'n una forza d'l diav'l, quand i er'n 'n t'l canp a vangar, i parev'n a scriv'r, i man'zav'n la vanga come una pena, ma quand i magnav'n. 'l tòf da la polenta i spariv 'n quatr e quatr'ot, però i n' z'rcav'n mai di licheti, i magnav'n quel ch'i trovav'n. i parev'n 'l reclam d'la saluta bianchi e rosi come fióri. Anch lor i portav'n i bafi come sopà . Una bela matina d' primavera, tuti e quatr i er'n 'n t'l canp a s'ciarar 'l granturch, 'l sol i fev luz'car le mare, 'l v'ntared i fev mòv'r le foie, i uz'din i s' dev'n adret un con d'altr come al fa i fanti a l'asilo, le borbatle tute colorate a d'svolassav'n avanti e ret e ogni tant a s' butavén 'nzim a le margheritine, ma 'l rumor d'un rop'lan i fé scunbus'lar tut c'd'armonia d' pace. Pie i s' fiso a mirar c'l mostr ch'i volav bas 'nfina a strussar le zime di piòpi, Sopà chi er una golpa vecia, i 'nmazinò sub't i p'ns'eri d'l figiòl, i z'rcò d' distrarl, ma ormai 'l z'rved d' Pie i ser fat l'idea d' piantar baraca e buratin e 'ndar 'n zerca d' far una vita p'u bela. 'Nfati, dop a qualchi mesi i partì volontari 'n t'l'aviazion con la speranza d' far f'rtuna e poter dar un aiut a i so veci che i n'an mai gudut gnent 'n vita sòa; Ma quand a s' diz 'l diav'l i vò metri 'l zanpin, a n'n'va una d' drita. Dop a una quind'zina d' di, mentr che panzòn i er a taiar 'l fen p'r le vache, i s' s'ntì ciamar da la mogia, i alzò i oci p'r r'spònd'ri, ma 'l fiat i si mosso 'n gola v'dend che 'nsema a la mògia a i er un soldat, 'n dò s'gòndi i arivò a ca, cunvint ch'i fus 'l so figiòl, ma purtrop al fu p'r lu una delusiòn v'dend che a s' tratav d'un carabigner. CI pov'r om i 'ncuminzò a tr'mar, i z'rcò d' dir quarcò al carabigner ma a ni vens fora nemen una parola. Anch c'l pov'r om 'n divisa i n' sapev p'u còs i dovev far, ma po' i dovè dari la bruta nutizia, i tirò fora una let'ra 'ndòv al dizev che Pie i er mort p'r causa d'un'ncident a d'arop'lan che Lu i viazav 'nzim. Le ult'me parole a n' le potè s'ntir ne Panzòn, ne la Culunbina, p'rchè i er'n sv'nuti 'n mez a d'ara e sol vers sera i s'arpion, ma i n'er'n p'u da v'der, i er'n 'nv'ciati almen d' zent ani. Anch' Batì i er 'rriconoscibile, ma Lu i er zòv'n e i dovev fars forza. Dop a qualchi mesi da c'l brut di, i s' trovav'n tuti e tré a far i lavori 'n t'i canpi, quand a un zert moment 'l rumor d'un arop'lan i li fé scalar come una mola. 'l so p'ns'er i 'ndè sub't al so Pie e con i lacr'mòn a i oci i s' fest'n 'l nome del padre e quand l'arop'lan i er sparii 'n zel i s'armis'n a lavorar senza dir una parola; Forse p'nsand che 'n zim a c'd'arop'lan a i potev es'ri 'l so Pie. di Giovanni Alibani
Venerdì 03 Giugno 2011 | 5694 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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IL COMMIATO L'Alpe di Mommio un pallido velame d'ulivi effonde al cielo di giacinto, come un colle dell'isola di Same o di Zacinto. Il Monte Magno di più cupo argento fascia la sua piramide; il Matanna è porpora e viola come il lento fior della canna. O canneti lungh'essi i fiumicelli di Camaiore, appreso ho il vostro carme. Vedess'io rosseggiare gli albatrelli sul Monte Darme! Dal Capo Corvo ricco di viburni i pini vedess'io della Palmaria che col lutto dè marmi suoi notturni sta solitaria! Potess'io sostenerti nella mano, terra di Luni, come un vaso etrusco! In te amo il divin marmo apuano, l'umile rusco; amo la tua materia prometèa, la sabbia delle tue selve aromali, l'aquila dei tuoi picchi, la ninfea dè tuoi canali. Potesse l'arte mia, da Val di Serchio a Val di Magra e per le Pà nie al Vara e al Golfo, tutta stringerti in un cerchio con l'alpe a gara! Troppo è grave al mio cor la dipartenza. Come dal corpo, l'anima si esilia dal marmo che biancheggia tra l'Avenza e la Versilia. Tempo è di morte. In qualche acqua torpente or perisce la dolce carne erbale. Strider non s'ode falce ma si sente odor letale. DÃruta la Cerà giola rosseggia, là dove Serravezza è cò due fiumi, quasi che fero sangue in ogni scheggia grondi e s'aggrumi. Sta nella cruda nudità rupestre il Gà bberi irto qual ferrato casco. Ecco, e su i carri per le vie maestre passa il falasco. Metuto fu dalla più grande falce nella palude all'ombra del Quiesa, ove raggiato di vermène il salce par chioma accesa tra cannelle di stridulo oro secco, tra pigro sparto di pallor bronzino. Su l'acqua un lampo di smeraldo, e il becco tuffa il piombino. Deh foss'io sopra un burchio per la cuora navigando, e di tifa e di sparganio carico ei fosse, e fossèvi alla prora fitto un bucranio o un nibbio con aperte ali, e vi fosse odore di garofalo nel mucchio per qualche cunzia dalle barbe rosse onde il suo succhio sì caro all'arte dell'aromatario stillasse fra l'erbame, e resupino vi giacessi io mirando il solitario ciel iacintino; e scendessi così, tra l'acqua e il cielo con l'alzaia la Fossa Burlamacca albicando qual prato d'asfodèlo la morta lacca; e traesse il bardotto la sua fune senza canto per l'argine; ed io, corco sul mucchio, mi credessi andare immune di morte all'Orco! Ma cade il vespro, e tempo è d'esulare; e di sogni obliosi in van mi pasco. Si i gravi carri lungo le vie chiare passa il falasco. Sono sì vasti i cumuli spioventi che il timone soperchiano dinnanzi e il giogo cèlano e le corna e i lenti corpi dei manzi, onde sembran di lungi per sé mossi e tra la polve aspetto hanno di strani animali dai gran lanosi dossi, dai ventri immani. In fila vanno verso Pietrasanta, strame ai presepi, ai campi aridi ingrasso. L'un carrettiere vócia e l'altro canta a passo a passo. E tutta la Versilia, ecco, s'indora d'una soavità che il cor dilania. Mai fosti bella, ahimè, come in quest'ora ultima, o Pania! O Tirreno, Mare Infero, s'accende sul tuo specchio l'insonne occhio del Faro; ti veglia e guarda con le sue tremende navi d'acciaro la Città Forte dietro il Caprione sacro agli Itali come ai Greci il Sunio; t'è scheggia della spada d'Orione il novilunio; come sia fatta l'ombra, alla tua pace verseranno lor lacrime le Atlà ntidi, ti condurrà l'ignavo Artofilace l'Orse erimà ntidi; s'udrà pè curvi lidi il tuo respiro solo nell'ombra senza mutamento; solo rispecchierai l'immenso giro del firmamento. O Mare, o Alpe, ed io sarò lontano con nel mio cuor la torbida mia cura! Splende la cima del mio cuore umano nell'ode pura. Ode, innanzi ch'io parta per l'esilio, risali il Serchio, ascendi la collina ove l'ultimo figlio di Vergilio, prole divina, quei che intende i linguaggi degli alati, strida di falchi, pianti di colombe, ch'eguale offre il cor candido ai rinati fiori e alle tombe, quei che fiso guatare osò nel cèsio occhio e nel nero l'aquila di Pella e udì nova cantar sul vento etèsio Saffo la bella, il figlio di Vergilio ad un cipresso tacito siede, e non t'aspetta. Vola! Te non reca la femmina d'Eresso, ma va pur sola; ché ben t'accoglierà nella man larga ei che forse era intento al suono alterno dei licci o all'ape o all'alta ora di Barga o al verso eterno. Forse il libro del suo divin parente sarà con lui, sù suoi ginocchi (ei coglie ora il trifoglio aruspice virente di quattro foglie e ne fa segno del volume intonso, dove TÃtiro canta? o dove Enea pè meati del monte ode il responso della Cumea?). Forse la suora dalle chiome lisce, se i ferri ella abbandoni ora ch'è tardi e chiuda nel forziere il lin che aulisce di spicanardi, sarà con lui, trista perché concilio vide folto di rondini su gronda. E tu gli parla: "Figlio di Vergilio, ecco la fronda. Ospite immacolato, a te mi manda il fratel tuo diletto che si parte. Pel tuo nobile capo una ghirlanda curvò con arte. E chi coronerà oggi l'aedo se non l'aedo re di solitudini? Il crasso Scita ed il fucato Medo la Gloria ha drudi; e, se barbarie genera nel vento nuovi mostri, non più contra l'orrore discende Febo Apollo arco-d'-argento castigatore. Ma tu custode sei delle più pure forme, Ospite. Col polso che non langue il prisco vige nelle tue figure gentile sangue. Gli uomini il tuo pensier nutre ed irradia, come l'ulivo placido produce agli uomini la sua bacca palladia ch'è cibo e luce. Per ciò dal fratel tuo questa fraterna ghirlanda ch'io ti reco messaggera prendi: non pesa: ell'è di fronda eterna ma sì leggera. Fatta è d'un ramo tenue che crebbe tra l'Alpe e il Mare, ov'ebbe il Cuor dè cuori selvaggio rogo e il Buonarroti v'ebbe i suoi furori. L'artefice nel flettere lo stelo vedea sul Sagro le ferite antiche splendere e su l'Altissimo l'anelo peplo di Nike. Altro è il Monte invisibile ch'ei sale e che tu sali per l'opposta balza. Soli e discosti, entrambi una immortale ansia v'incalza. Or dove i cuori prodi hanno promesso di rincontrarsi un dì, se non in cima? Quel dì voi canterete un inno istesso di su la cima". Ode, così gli parla. Ed alla suora, che vedrai di dolcezza lacrimare, dà l'ultimo ch'io colsi in su l'aurora giglio del mare. (Data di composizione sconosciuta) di GABRIELE D'ANNUNZIO
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