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71. La bisca
Cultura/Dialetto
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Ma m ir un pò che fumacera c'aiè¨ drent a sta cantina, a iè d'aria tuta nera al par ch'i fag'n l' mundina. Ma nisc'un i fa pà cas p'rchè i an l' carta 'n man, e se ai ven ner 'l nas i s'l pulisc'n doman. A p'nsari propi ben al par ch'i sibin d'l m'ster, ma se 'l g'och i ni va ben i arman'n li come un p'ter. Lor ig'en di raministi ma i par'n di sc'nziati, però s'i perd'n ig'en tristi i biastim'n come arn'gati. Mò a v' mòstr i concorenti che pù o men ig'en senp'r queli, con la speranza ch'ig'en contenti se 'n t'ia lingua a ni o di peli. A 'ncuminc con Gragnan che i atach senpr tuti, e c'd'altr al sapian ig'è 'l Top, 'lre di bruti. 'L pù ganz ig'è Guido ch'i s' divert a marcar, i n' vò s'ntir dir afido quante un i dev g'ocar. Pò aie Carlo d'la bonba ch'i sta senpr zit, zit, Min'strin i ariv 'n tronba ma i arpart tut avilit. Calm, calm ig'è Penachi un oriund d' marina, ma quel ch'i pas ai cantratachi ig'è Zinghin d'la Patascina. Anch Zidò i fa i so sforzi p'r vinc'r quarchi ciculatin, ma i so progeti i vegn'n smorzi da Bruneto, Piuin. Ma a iè anch G'uvanin 'l frated d'l maestr, lu i perd da mancin e i pagh col brac destr. Mò parlan d'i spetatori ch'i vegn'n p'r v'der, s'ig'àn pov'ri o signori pur quarcò i dev'n ber. C'alnbòtigè 'Ng'oler che a Nan in da una taza, pò i dic: una a zer questa chi a nè mica guaza. A volta al ven anch 'l Leon senpr tut 'ncalcinat, i fa un pò d' confusiòn pò i va via ch'i par pagat. S'ainà tanti 'n cunpagnia a pagar i fan tir e ten, cuscì prima d'ndar via i l'apiòp'n a Malen. P'r fnir quest litrat a i vorè anch Gomera, Me ormai a son sgolai e pagat'm da bera. di GIOVANNI ALIBANI
Venerdì 03 Giugno 2011 | 5998 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Cultura/Dialetto
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'L 25 april a le San Marc a l'Avenza tant genia a l' sbarc', i vegn'n da Carara e d'n Marina po' a iè l' masesa a vend'r l' niciulina. Tanti bancheti i vend'n 'l toròn 'n t'l'cantina, 'l vin iè pogh bòn, vers la stazion a iè 'l tir a segn e 'ncim al pont a iè c'l pov'r'om con la ganba d' legn, po' aie i rop'lan e la giostra a calci 'n cui e quarchi montagnari ch'i vegn'n già col mul, da la Centrale 'nfina 'n Sravudin a s' sent sol piang'r di ninin, ch'i vog'n la tomobile o la motobicicleta a la fin soma, a i conp'r una bonboleta. A la Forteza i fan da magnar a s' sent una puza d' pesci ch'i fan argom'tar, e pur aie queli ch'i s' gonfin come taparedi e i par d'es'r a magnar un piat d' tordedi, quand i van via ien tuti sporchi ma i van da Pitoch che la i vend'n i porchi, drent al paes a s' sent un odor d' torta e un udurin d' cicia morta, c'l di lì aie tanti 'nvitati magari parenti acquistati, e dop a es'rs fati una bela magnata i fan di ruti c'al pam canonata, ma a ni è nisciun ch'i fa obiezion p'rchè iè 'l di d'la liberazion, P'r'l trafich a ni è nisciuna v'rtenza i fan pasar i camion d' drent la Venza, e cuscì 'n mez a tut la confusciòn i t' schic'n i cadi con i scarpòn, Tè t' vorà ronpri 'l mus. ma t'arman come pie p'rchè 'n t'n'sa d' chi ader 'l pè, Ma vers sera t' sen strach t' t' strufin i oci pien d' mach, e quand fariv a ca t'à la s'cena fracasata t' dic a la mogia anch p'r ogi a de pasata, basta che 'n t' n' fagh l' spazin, p'rchè a t' tòch spazar dal Vial 'n Sravudm. di GIOVANNI ALIBANI
Venerdì 03 Giugno 2011 | 6244 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Storia/Storia di Avenza
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QUANDO AVENZA VOLLE IL PIEMONTE Il tentativo separatista dopo la cacciata degli estensi e dei gabellieri del dazio L'intensa giornata inaugurale di studio dell'Aruntica apertasi con la dotta prolusione di Loris J. Bononi priore dell'Accademia degli Imperfetti di Fivizzano e proseguita con la gustosa relazione su Danese Cattaneo del presidente dell'Accademia dei Rinnovati di Massa Duino Ceschi, Giovanni Fantoni, Labindo, di cui abbiamo succintamente riferito, ha annoverato numerosi altri interventi. Gli aspetti delle attività artigiane e industriali a Massa e a Carrara dal 1300 al 1500, sono stati evidenziati dal presidente della Deputazione di Storia Patria Paolo Pelù. Importanza notevole in particolare ebbero la lavorazione del ferro a Pomo e a Carrara l'industria marmifera con seguenti traffici e avvicinamenti anche culturali con altre città  tra cui Prato. Le controversie, davvero poco note, che per quasi un ventennio avevano accompagnato i progetti ferroviari sotto i Duchi di Modena sono state messe in luce da Marcello Bernieri. Tra insurrezioni popolari e il sogno di un collegamento a monte tra le due città  col traforo della Foce, la complessa vicenda si chiude con la inaugurazione nel 1862 del tronco com' è attualmente, con conseguente creazione del tratto Avenza-Carrara e della stazione di San Martino il cui nome ricorda la battaglia risorgimentale che vide l'eroismo di Domenico Cucchiari attivo protagonista di questa realizzazione. Cesare Piccioli ha illustrato con competenza i caratteri della vita culturale del primo novecento: la funzione vitalizzante del Ceccardi sul manipolo della Repubblica d'Apua di cui facevano parte poeti, artisti, politici dell'area versiliese (Ungaretti,Pea, Viani, Nomellini), lunigianese (De Ambris, Formentini) e carrarese (Vico Fiaschi, Caro), nonchè i vivaci rapporti del poeta ortonovese, col gruppo fiorentino di Papini e con D'Annunzio. Una stimolante domanda: Perchè il flusso vivificante della cultura ispirata da Ceccardo Roccatagliata Ceccardi si radiò in seguito in Versilia (si pensi al famoso quarto platano del Forte. e in Lunigiana, mentre venne meno a Carrara? A un episodio poco noto della storiografia locale mettendo in risalto la pace del 1353 che ebbe risonanza nazionale e legittimò la presenza della signoria milanese in Carrara e Avenza. Il tentativo separatista del 1848 di Avenza dopo la cacciata degli Estensi è stato illustrato da Maurizio Munda. Conscia della sua importanza strategica ed economica come scalo dei marmi, forse istigata da emissari liguri, Avenza si ribellò a Carrara che con Massa aveva chiesto l'annessione alla Toscana, e cacciati i gabellieri del dazio tentò invano di unirsi al Piemonte. L'attento recupero dei detti dialettali riferiti a episodi storici costituisce un'operazione di archeologia linguistica ristabilendo la perduta connessione degli stessi coi fatti che li hanno originati o a cui sono stati applicati. Un esame rigoroso di essi con metodologie socio linguistiche permette inoltre un'approfondita conoscenza della cultura popolare e interessanti verifiche di documenti e teorie storiche. Questo l'intervento di Rosa Maria Galleni Pellegrini. Corrado Lattanzi ha relazionato sull'attività  degli architetti-scultori carraresi nei secoli 1600 -1700. Grande è il salto di qualità  dell'artista locale grazie al mecenatismo dei Cybo Malaspina che favoriscono l'incre-mento culturale e sociale. Da Carrara emigrano valenti scultori che riescono a farsi apprezzare anche nella Firenze granducale (i Tacca), a Lanmarco Laquidara, presentando un raro documento, lo studio del Milani, sull'igiene sociale in Carrara alla fine dell'800, ha evidenziato la stretta relazione e interdipendenza tra medicina e società . La precaria situazione economico-sociale della popolazione di allora ebbe pesanti risvolti sulla salute pubblica , (grande l'incidenza di traumi anche mortali e di malattie dovute a carenze alimentari e professionali, cui si aggiunsero consumi di vino da Guinness dei primati) e costituì una delle cause dei fatti del '94. Giuseppe Borgioli ha tracciato un singolare parallelismo tra la complessa figura di Romolo Murri e quella di Alfredo Bizzarri. cattolico liberale, insegnante e giornalista. Aretino di nascita, carrarese d'adozione, nei primi del novecento organizzò e diresse il Circolo di San Ceccardo, una delle tante organizzazioni cattoliche sorte in Italia in seguito alla famosa enciclica di Leone XIII, da cui poi emerse il quadro dirigente locale del partito popolare. Poi la lettura affidata alla voce suadente di Giuliana Bianchi, di alcune liriche di Francesco Dolci, membro della rinata Aruntica . Mario Laquidara ha illustrato il periodo della dominazione viscontea in Carrara, Genova (Ponzanelli, Lazzoni), a Napoli (Baratta), realizzando un'osmosi culturale che porterà , con l'importazione di modelli particolarmente partenopei ad una svolta della scultura locale. Fonte: LA NAZIONE Mercoledì 28 Giugno 1995
Venerdì 03 Giugno 2011 | 4900 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Storia/Storia di Avenza
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Le note che seguono sono tratte da Aldo Cecchini L'AVENZA, Celani, 1988. Segretario del Comune fu eletto Desiderio Menconi, il tricolore venne innalzato sulla fortezza Castruccio. Come primo atto il Comune proclamò l'annessione del suo intero territorio allo stato piemontese chiedendone protezione. Poi abolì la tassa sul grano, la famosa tassa sul macinato e proclamò il libero Comune di L'Avenza annesso alla Patria italiana. Il Governo Piemontese aderì alla richiesta di protezione e incaricò la Sovrintendenza di polizia di Sarzana di inviare a L'Avenza un presidio di cento Reali Carabinieri. Il 10 aprile 1848 i municipi di Massa e di Carrara organizzarono con l'ausilio dei parroci una votazione per l'annessione al Granducato di Toscana. Ma il Comune di Avenza non aderì perchè rimase fedele alla sua impostazione: Carlo Alberto Re d'Italia. Il 12 maggio 1848 Leopoldo II di Toscana decretò l'annessione di Massa Carrara al Granducato, ma il territorio di Avenza era sempre presidiato dai Carabinieri piemontesi. Dopo la sconfitta di Custoza di Carlo Alberto, avvenuta il 25 luglio, tra le clausole del successivo trattato di pace, fu inserito un passo che riguardava anche Avenza: il governo piemontese dovette accettare di condividere il presidio della cittadina con i Carabinieri Toscani.
Venerdì 03 Giugno 2011 | 14672 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione | Leggi tutto
Storia/Storia di Avenza
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GIUSEPPE MAZZINI INCONTRA I CARBONARI DI L'AVENZA E FONDA LA "GIOVINE ITALIA" Verso la fine del 1830 accadde a L'Avenza un evento straordinario. Dopo le impiccagioni del '22 l'organizzazione Carbonara era diventata segretissima, tant'è che i seguaci del tirannico Duca nulla poterono contro i nostri. Fu così che attraverso le informazioni della Carboneria gli associati di l'Avenza ricevettero un giovane avvocato genovese. Aveva 25 anni e si chiamava Giuseppe Mazzini. Egli comprese subito che le informazioni avute erano esatte circa l'efficienza e la serietà della locale Carboneria ed espose subito agli attenti patrioti apuani il suo piano di trasformazione della Carboneria nella associazione la "Giovine Italia" che doveva preparare l'insurrezione generale contro i tiranni per raggiungere l'unità d'Italia. Ottenne un immediato entusiastico assenso ed allora espose i dettagli del suo meticoloso piano associativo. "La Giovine Italia è repubblicana perché tutti gli uomini della nazione sono chiamati per la legge di Dio ad essere liberi, uguali e fratelli. Perché repubblicane sono le nostre grandi memorie da Roma alle repubbliche marinare. La Giovine Italia è unitaria perché il federalismo la condannerebbe all'impotenza e la porrebbe sotto l'influenza straniera e riprodurrebbe situazioni medioevali tra i diversi stati federali. La Giovine Italia è basata sulla educazione del popolo rispettoso di Dio consapevole che organizzerà una guerra per bande appena scoppiata l'insurrezione. I colori della Giovine Italia saranno il bianco, il rosso e il verde, la bandiera della Nazione del popolo italiano, dal Varo al Quarnaro, dall'Alpe alla Sicilia. "Ed ora giuriamo nel nome di Dio e dell'Italia. Nel nome di tutti i martiri della santa causa italiana, caduti sotto i colpi della tirannide." "Per i doveri che legano alla terra ove Dio m'ha posto... per l'amore innato in ogni uomo, ai luoghi ove nacque mia madre e dove vivranno i miei figli... per l'odio, innato in ogni uomo al male, all'ingiustizia, all'usurpazione, all'arbitrio... per il rossore che io sento in faccia ai cittadini dell'altre nazioni, del non avere nome né diritti di cittadino, né bandiera di nazione, né patria....per la memoria dell'antica potenza.... per le lacrime delle madri italiane ... per i figli morti sul palco , nelle prigioni, in esilio .... "Io....convinto che dove Dio ha voluto fosse nazione il popolo e depositario delle forze necessarie a crearla.... dò il mio nome alla Giovine Italia e giuro di consacrarmi tutto e per sempre all'Italia, nazione una indipendente, libera e repubblicana, di uniformarmi alle istruzioni dei fratelli e di conservarne, anche a prezzo della vita, i segreti."Ora e sempre! Così giuro, invocando sulla mia testa l'ira di Dio, l'abominio degli uomini e l'infamia dello spergiuro, s'io tradissi in parte il mio giuramento."I carbonari di L'Avenza che già si erano bene organizzati, dopo l'affiliazione nella Giovine Italia, infiammati ancor più da Giuseppe Mazzini divennero in gran segreto un piccolo esercito pronto all'azione al momento decisivo che si avvertiva prossimo. Mazzini fu entusiasta di loro e negli anni soleva ricordarli a mo' di esempio. Dopo l'incontro di L'Avenza Mazzini dovette riparare dapprima a Marsiglia, poi in Svizzera ed infine a Londra.Benché in esilio e con gli scarsi mezzi di comunicazione di allora era il 1831 - giorno dopo giorno, ora dopo ora dedicò tutta la sua vita ad incitare tutti gli italiani all'unità della Nazione. Il suo grande merito fu quello di aver presentato all'Europa e al mondo il problema Italia che fino a quel momento era considerata terra di conquista, terra dei morti. Frattanto era salito al trono dello Stato Sardo Carlo Alberto e Mazzini gli indirizzò dall'esilio un messaggio incitandolo a lottare per l'unità d'Italia. Non ebbe risposta ed allora - era il 1832 - diffuse la Giovine Italia, l'associazione che infiammò tutta la gioventù patriottica d'Italia con quei principi che già due anni prima avevano esposto ai carbonari di L'Avenza. Trascorsero gli anni '30 con le notizie delle rivolte francesi, ora contro i Borboni ora contro gli Orléans, mentre l'opinione pubblica era sbalordita dalle conquiste della scienza e della tecnologia. Il motore a vapore aprì insperati orizzonti al progresso. Tuttavia al progresso tecnico non corrispondeva un progresso politico perché perdurava un assetto retrivo e reazionario mentre i popoli chiedevano le costituzioni democratiche. Mazzini fu condannato a morte in contumacia nel '34 dal governo piemontese, ma questo verdetto non preoccupò più di tanto i patrioti. avenzini che seguitarono a sperare nel monarca sabaudo. Anche gli anni '40 si susseguirono in una continua agitazione nella speranza dell'unità d'Italia, ma nel '44 i borbonici fucilarono presso Cosenza i due fratelli Bandiera con sei loro compagni della loro azzardata ed impreparata impresa insurrezionale. Il 23 gennaio del 1846 il tirannico Francesco IV morì e gli successe il figlio Francesco V, crudele quanto il padre. Ma i tempi erano maturi. Si avvicinava il 1848! Tratto da L'AVENZA di Aldo Cecchini
Venerdì 03 Giugno 2011 | 3523 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Storia/Storia di Avenza
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La nascita del borgo di Avenza affonda le radici nella notte dei tempi. Alcuni reperti dll'epoca romana trovati in diverse epoche la fanno risalire a quel tempo, come ansio sulla via consolare Aemilia Scauri da Pisa alla vicina Luni. Certamente nel medioevo assunse una funzione importante sul territorio. L'antica città  di Luni (sotto la guida dei Vescovi Conti) si andava estinguento, e la città  di Carrara prendeva vigore con la ripresa dell'estrazione del marmo. Avenza veniva a trovarsi in un crocicchio delle strade che scendevano dalle cave allo scalo marittimo e l'antica via Romana. Quest'ultima si modificava nel tempo tagliando fuori la defunta Luni per dirigersi nettamente verso Sarzana rimanendo tuttavia una delle arterie più importanti dell'Italia Medievale come via Romea, Francigena o Francesca, vera autostrada del medioevo. Per questi motivi, malgrado le cattive condizione della piana malarica che avevano contribuito all'abbandono dell'antica Luni, il borgo di Avenza resistette in quanto centro strategico, per cui fu incastellato e munito di fortezza, e commerciale in quanto emporio delle merci imbarcate e sbarcate (non solo marmo) ed in transito sulla Romea . Qui vi si riscuoteva la gabella , come ancora testimonia il vecchio nome di via Farini. Qui si effettuava il cambio dei cavalli della stazione di posta (alla scuderia). Le origini del commercio nel borgo sono quindi collegate intimamente al concetto di Avenza figlia della strada ( o meglio delle strade).
Venerdì 03 Giugno 2011 | 14292 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione | Leggi tutto
Storia/Storia di Avenza
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E' notorio che la solennita' di San Marco, che ad Avenza si accompagna alla fiera piu' frequentata del comune,affonda le sue radici nell'antichita': sono state molte, in effetti , le festivita' pagane propiziatorie recepite dalla cristianita' e la grande festa di primavera del 25 Aprile e' certo tra quelle. Era la solennita' lunense per eccellenza, tant'e' vero che i vescovi, quando dopo il 1204 dovettero abbandonare Luni per Sarzana, tornavano in processione nella citta' morta ogni anno, proprio il giorno di San Marco, per mantenere il legame con lei e le sue tradizioni,sperando in una sua rinascita. Il culto dell'evangelista e' comune nelle regioni legate all'impero bizantino. Il vescovo Enrico da Fucecchio,ricevuta l'investitura nel 1273, scelse per l'entrata nella diocesi "apud Urbem Veterem" il 25 aprile, che volle celebrare secondo le tradizioni. Alcune fonti,sebbene tarde, parlano anche deel'esistenza di una chiesa in Luni dedicata al Santo. Il borgo di Avenza, legato da secoli alla citta' e alla sua pieve , ne eredito' parte del patrimonio spirituale: il titolare della chiesa e' San Pietro come lo era della basilica lunense fuori le mura, San Marco e' protettore del paese. Le statue marmoree dei due santi, capolavori cinquecenteschi, campeggiano ai lati dell'altare maggiore. lo stamma vescovile con la mezzaluna e' sempre sulla facciata della chiesa. La solennita' di San Marco, ereditata da Luni da tempo immemorabile, e' sempre stata la festa di primavera di maggio successo, basta dire che dal presidio di fortezza veniva distaccata una pattuglia alla fiera per motivi di ordine pubblico (dai ruoli fine 1700). Con l'unita d'Italia le norme sulle fiere e mercati portano ad una ufficializzazione dopo il 1870, come fiera di bestiame. La vendita di maiali e' durata fino agli anni ottanta del XX secolo, soppressa per una epidemia di afta; sopravvive quella del pollame. L'attuale coincidenza della solennita' religiosa con quella della Liberazione non ha fatto altro che rafforzare le tradizioni fondendo l'antico con moderno. Con circa 300 banchi e' la piu' estesa fiera del comune di Carrara, nonche' la piu' frequentata, per la felice stagione. Tipico dessert di San Marco, la torta di riso all'avenzina. ....., dal 1926 gli avenzini il santo protettore l'hanno messo anche nel pallone: forza San Marco>>>>>>> Pietro Di Pierro
Venerdì 03 Giugno 2011 | 7777 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Storia/Storia di Avenza
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Venerdì 03 Giugno 2011 | 7734 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Storia/Storia di Avenza
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"...Una formella quattrocentesca con lo stemma di Avenza (una mezzaluna)" con queste brevi parole la Guida di Carrara di Bizzarri e Giampaoli (1932), descrive l'antica arme scolpita sulla facciata della parrocchiale di S. Pietro. In realtà  questo bassorilievo, è testimone di quella lunga pagina di storia che è stata il dominio dei vescovi di Luni; uno dei simboli, insieme al crocifisso ligneo del XII secolo che la tradizione dice trasportato da una chiesa lunense, dell'antica appartenenza del paese, sebbene sia ancora misterioso il loro arrivo. Avenza nel medioevo fa parte del territorio metropolitano di Luni e la chiesa di S. Pietro ne costituisce la più importante chiesa capitolare, erede dell'omonima basilica fuori le mura. Anzi alla fine del XII secolo, il borgo, diventa fulcro di un'azione contrastante la nascente realtà  comunale di Carrara: la fondazione di un "borgo nuovo" vicino al mare e all'acqua dell'Avenza, con la quale si cerca di incrementare il "borgo vecchio" per controbilanciare l'espandersi della città  marmifera. Anche dopo il 1204, quando la chiesa di S. Pietro è ceduta ai canonici di S. Frediano di Lucca, già  detentori di S. Andrea in Carrara ( formando un'unica vicaria), i vescovi promulgheranno tutta una serie di atti tesi ad affermare la loro sovranità  sul territorio, continuamente messa in dubbio: importante è la riaffermazione della competenza vescovile sul "pedagium Aventiae". E' significativo poi che il primo statuto di Carrara venga promulgato nel 1235, proprio nella chiesa di Avenza. Il potere vescovile, progressivamente svuotato, termina nel 1313, con l'esautorazione da parte dell'imperatore Enrico VII. Tornando allo stemma e simbolo dell'autorità lunense, deve essere inquadrato in questa serie di eventi storici, piazzato lì a ricordare l'appartenenza del borgo; la sua datazione alla luce di quanto esposto, sembra quindi doversi spostare ad almeno un secolo prima rispetto a quanto asserito da alcuni La sua simbologia ha radici nell'antichità romana, potendo ravvisare una certa somiglianza con "l'emblema di Diana per dirla con Reperti; esso è raffigurato su alcune formelle rinvenute a Luni nel XVIII secolo e riprodotte da V.e P.Vinzoni quali simbolo della Dea Luna protrettrice della "Splendida Civitas". Nel medioevo diventa simbolo della città , del potere dei suoi vescovi e dell'intera diocesi. E' poi recepito negli stemmi di vari Comuni della zona e perfino nell'arme di qualche ramo malaspiniano; appare ancora come simbolo della Lunigiana storica sulle stampe settecentesche e finisce poi in capo agli stemmi delle province di La Spezia e M Carrara. La mezzaluna di Avenza o "crescente montante" secondo la terminologia araldica, ha le punte che tendono a riunirsi e la sfaccettatura su due piani; per il colore in mancanza di notazioni grafiche sarebbe da considerarsi "al naturale": argento in campo azzurro. Si potrebbe osservare che Carrara, già  sede vescovile (in Vezzala), con il suo marmo "lunense" ed il porto, è l'erede naturale di Luni e, quindi, potrebbe fregiarsi del suo emblema ma nei secoli questa eventualità  non si è mai verificata (nemmeno vi si è pensato nei dotti studi e ricostruzioni più o meno recenti); diciamo che la gelosa affermazione dell'autonomia comunale si è espressa a nche attraverso i simboli (l'unica mezzaluna trovata nel centro storico, è su un capitello abbandonato nei pressi del Duomo di destinazione ignota ed oggi conservato al Museo Civico del Marmo). I simboli, c'è da dire, sono soggetti alle mode; ad esempio nel 1848 quando la frazione di Avenza (con la sua Marina) si erige in Governo provvisorio dandosi in protettorato a Carlo Alberto di Savoia e staccandosi da Carrara, assume come emblema la fortezza su cui sventola il tricolore con lo scudo sabaudo. Detta bandiera è imposta anche alla flottiglia locale, la Bandiera italiana d'Avenza, come è chiamata con orgoglio per distinguerla da quella con stemma lorenese alzata a Carrara e a Massa. I valori risorgimentali avevano pesato in maniera determinante sulla scelta, peccato che pochi anni dopo, il "simbolo" della fortezza, venduto dallo Stato italiano ai demolitori, abbia trovato pochi difensori e toccasse al tedesco Mommsen salvare il salvabile. Oltre un secolo più tardi troviamo ancora la fortezza (ormai ridotta ad un solo torrione) accollata ad un'ancora nella proposta di stemma del mancato comune di "Marvenza". Splendori e miserie dei simboli! Ma l'ottocento è anche il secolo delle riscoperte delle antiche origini: il nome Avenza nei primi del secolo è definitivamente restaurato in luogo del volgare medievale "Lavenza" (nato dalla conglutinazione dell'articolo). Gli storici Gerini e Sforza riordinano le notizie circa gli uomini illustri del piccolo borgo: Giovanni De Rossi (prelato del '500) e Giovan Pietro d'Avenza (umanista del 1400) mentre il Repetti ricorda come il fiume principale che scorre attraverso la città di Carrara e il piccolo borgo, non si chiamasse Carrione ma Avenza (il "Flumen Aventia" della Tabula Peutingeriana) ed infine il canonico Pietro Andrei in un manoscritto ricorda la mezzaluna sulla facciata della chiesa, tra i "monumenti" di Avenza. In seguito anche alcuni privati lo riproduranno come arredo: il proprietario del cinema l'Arena lunense, lo adotta come insegna del proprio locale . Si recupera quindi la "lunensità" di Avenza nell'immaginario collettivo che si manifesta nel detto popolare "Avenza avanzo di Luni" (con vari accenti più o meno polemici). Oggi infine, l'antico stemma trova posto sul dipinto curato dall'Accademia di Belle Arti, nella sala della Circoscrizione n. 4 ad Avenza. A prescindere dal successo dell'opera (ai posteri 1'ardua sentenza), è positivo che i due stemmi di Carrara e di Avenza compaiano accoppiati non più nell'antica contrapposizione tra potere vescovile e libero comune e neppure nella più moderna Carrara accentratrice versus Avenza e Marina autonomiste, ma piuttosto come proposta di una nuova simbologia araldica per la città, che recuperi in qualche modo parte delle sue radici che, proprio Avenza, la più polemica delle sue frazioni, le offre.
Venerdì 03 Giugno 2011 | 4504 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
Storia/Storia di Avenza
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Il primo abitante certo di Avenza è quel "Gherardo de Aventia" che risulta tra i firmatari di un atto del Codice Pelavicino dell'anno 950, for- nendo la notizia indiretta dell'esistenza dell'abitato di Avenza prima ancora che la stessa fonte fornisca quella di Carrara (nel 963) tuttavia le fonti sono scarse prima del XTV secolo. Solo i contratti di locazione degli eredi di Castruccio Castracani alla fine del '300 fanno riferimento a persone che prendevano in affitto le singole parti del palazzo;la qual cosa mostra una certa vitalità  del borgo non ancora nella fase acuta della crisi che tra il quattro e il cinquecento lo portò quasi all'estinzione, ma non è sufficiente per un quadro della situazione demografica. Scarse quindi, sono le notizie sulla popolazione del borgo prima del XVI secolo ma qualcosa di più preciso possiamo trarre dagli estimi del XV secolo. Risultano in questi atti 57 proprietari di case in Avenza che evidentemente per ebbe alterne fortune: le troppe guerre, i troppi padroni, la troppa insalubrità  e la troppa miseria, non l'aiutarono certo, fatto sta che quando il Principe Alberico I Cybo- Malaspina, ne prese possesso, praticamente era disabitata, e nel primo censimento, per dirla con lo Sforza, di "Avenza non si fa motto", altrove di parla di due sole famiglie ma la sostanza non cambia. Dalle fonti d'archivio sopra citate è tuttavia possibile ricostruire la struttura sommaria dell' abitato che si snodava sulla pubblica via (praticamente un decumano, sulla dirczione levante-ponente della via Romea) con due porte corrispondenti: la "porta mastra" verso Massa e l'altra "quae prope Sarzana". Il borgo si articolava in diversi isolati divisi l'uno dall'altro da un cosiddetto "solco del comune", un vicolo che fungeva anche da scolo delle acque. Purtroppo il fatto che la "prima casa" fosse esente da imposta, non ci da ne in numero esatto delle abitazioni, ne la ricostruzione dei vari isolati che possiamo comunque stimare in sei o sette; forse vi era una via che incro- ciava ortogonalmente la via principale al centro (si parla di una "via della chiesa" e di due case con la "via da due parti"), probabilmente con porte corrispondenti a monte (quella tutt'oggi visibile?) e a mare (si cita una "murata" vicino al cimitero e alla porta). Ma tornando ad Alberico I vediamo che la posizione di Avenza, in (mezzo ad una campagna da sfruttare e vicino ad un mare da cui trarre vantaggio, convinsero il principe ad invogliare la gente delle località  viciniori a venire a ripopolare l'antico borgo; fece rifare "le muraglie della terra" come ci narra Guaspar Venturini, e concesse esenzioni dalle tasse, espediente questo usato con successo dai Medici per popolare Livorno. L'incremento della popolazione all'inizio fu minore di quello sperato (Alberico in una lettera si lamenta che erano solo 60 fuochi, ma se così fosse si sarebbe potuto rallegrare, il numero delle famiglie delle varie vicinanze era stato evidentemente gonfiato per far bella figura col destinatario della lettera). L'andamento della popolazione si può così riassumere con una tabella Gli ultimi dati si riferiscono ancora all'intera popolazione parrocchiale comprensiva di Marina che alla metà  del secolo contava circa 500ab.circa). Come si vede l'andamento della popolazione non era omogeneo, a causa anche dell' altissima mortalità  infantile (che faceva si che il saldo naturale fosse spesso negativo) e della qualità  della vita che, nonostante il favorevole regime fiscale, non riusciva a far decollare l'andamento demografico; a cavallo tra il '600 e il '700 ci fu una flessione, ma il trend alla fine fu più che positivo : La bonifica della campagna di ponente, commissionata ali' ingegnere carpigiano Marcantonio Fasi nel 1588, sicuramente contribuì a rendere più abitabile la piana, l'aumento delle spedizioni di marmo via mare, poi, attirò mano d'opera dai paesi vicini, specie nella seconda metà  del XVDIII secolo. Ma da dove venne tutta questa gente? I libri parrocchiali dei sacramenti (battesimi, matrimoni, sepolture) ci aiutano a capire i flussi migratori: i cognomi degli avenzini attuali sono come i coloranti dispersi nelle acque per capirne il percorso. Le direttrici principali sono trà: La Liguria prossima, cioè il sarzanese bassa vai di Magra e Vara; il Massose, Mirteto in particolare; infine la riviera genovese di levante, in particolare Lavagna, Sestri Levante e zone viciniori. Tra i cognomi di provenienza sarzanese, dalla Bassa Lunigiana e Val di Vara: Giannetti, Zanetti, Corsi (da Nicola); Corsini e un ramo dei Tognini(Castelnuovo); Ercolini, Genovesi, Redini, Marchini, Moruzzi, e un ramo dei Tosi(Sarzana); Marchi e De Marchi (Ameglia); Borghetti (da Borghetto Vara); Crudeli (da Matarrana). Forte fu l'immigrazione dal Mirteto: Santucci, Del Padrone, Battistini, Giannoni, Franciosi, Bartoloni o Bertoloni, Scavezzoni, Manfredi, Bottari, Pucci, Ricci, Tonazzini, Arrighi, Soldati, Simonini, Sgadò, Magnani, Lazzini, Mosti, Tonarelli, ed anche un ramo dei Monconi. Altri cognomi come Bordigoni e Alibani, sono diffusi nella campagna della destra del Frigido, ma non segnata la provenienza; sono poi reperibili altrettanti cognomi di mortegiani, oggi non più diffusi ad Avenza. Non mancano, anche se in proporzione minore, le immigrazioni da altre vicinanze carraresi: Strenta e Bruschi(da Fontia), Pianini e Pisani (da Moneta), Binelli(da Miseglia), Guadagni (da Bedizzano), Girolmini, Morescalchi e Ragaglini (da Carrara), ma quest'ultimo cognome è presente anche tra i proprietari di Avenza nel XV secolo, segno di una fuga con ritorno delle famiglie. Notevole anche la direttrice migratoria "genovese" dalla riviera di levante:Cordiviola o Cordeviola (da Lavagna, ma anche da Sestri L. e Cavi); Dazzi(da S. Giulia di Centaura); Vatterone o Vatteroni (da S.Bartolomeo della Ginestra e anche da Cavi); Lucetti (da Riva di Sestri); Dentone o Dentoni (da Riva di Sestri); Botti (da Lavagna); Bogazzi (da Sestri L.e da Cavi); Bologna (da Sestri L.); Ravenna (da Cavi); Tosi (da Cavi e dalla Ginestra e un ramo da Sarzana); Galli (da Trigoso); Cucurnia (da Cogorno); Sebastiani (da Chiavari); Olivieri (dalla Ginestra); Vignoli (da Paraggi). Vi sono poi cognomi simili ad altri oggi diffusi come Bogliano (Bugliani) da Sestri, Magino (Maggini) da Lavagna, Bregante (Briganti)da Trigoso (ma presente anche a Bergiola ). Ancora altri cognomi provengono dall'area del golfo di La Spezia : Faggioni (da Cadimare), Manfroni (da La Spezia), Solari (da S.Bartolomeo di Lerici e da Chiavari), Ratti (da S.Terenzo); Altri cognomi sono dati semplicemente come "genovesi" come Costa e Mussi, altri lo sono chiaramente come Sanguineti e Uneti; seguono ancora una decina di cognomi che oggi non sono più diffusi. Scarsa, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, l'immigrazione dall'Emilia: Fattori (da Ferrara) e Martinelli (da Modena). Sporadiche sono le presenze versiliesi: Balderi (da Seravezza), Stefanini (da Camaiore). Una domanda viene spontanea: quali sono le famiglie più antiche di Avenza? E' molto difficile stabilirlo, per il tardo inizio dei registri. La presenza di un Monconi "de Aventia" morto a cento anni nel 1650, farebbe pensare che una delle due famiglie che abitavano Avenza al tempo di Alberico fosse proprio quella, ma anche Paglino(o Paglini) compare tra le registrazioni più antiche,come pure il cognome tipico carrarese Campi e quello gragnanino Lombardini, anche Zaccagna appare tra i primi e rimane a lungo. Alcune direttrici migratorio hanno radici antiche, come quella dal circondario lunense, ma anche quella mortegiana (ricordiamo che l'umani- sta Giovan Pietro Avenzino,secondo gli studi di G. Sforza apparteneva ad una famiglia originaria del Mirteto, i Vitali). L'immigrazione genovese ha i precedenti nell'accoglienza di Alberico I ai fuorusciti di questa regione (non a caso troviamo ad Avenza anche un Dazzi "di Carrara" quindi già  naturalizzato): era il popolo dei "leuti", le veloci imbarcazioni a vela latina per il piccolo cabotaggio, che arrivava sulla spiaggia di Lavenza e spesso vi rimaneva, come quel Cordeviola "marinaro" di Lavagna il cui mestiere il parroco annotava sul registro sacramentale (il che non avveniva quasi mai).Spesso i "Genovesi" si naturalizzavano, per poter commerciare liberamente il marmo da sudditi cybei. Questi movimenti di popolazione hanno lasciato tracce anche sul dialetto, sensibilmente diverso dal carrarino, come il modo di formare il plurale del femminile, simile a quello della destra Frigido del massose, o alcuni vocaboli ligureggianti, purtroppo non tutti sopravvissuti all'italianizzazione del dialetto. La somiglianza  di impostazione col gragnanino, ha fatto pensare che comunque, in origine, vi fosse stata una forte compenetrazione con la popolosa frazione montana. Chiaramente, non tutti i cognomi, hanno avuto seguito "dinastico" nella stessa epoca, alcuni si sono estinti e sono riapparsi in immigrazioni più recenti, ma in questa sede servono per individuare i flussi migratori che hanno contribuito a popolare Avenza. Si rileva che esistono molti cognomi di cui non è possibile risalire all'origine, semplicemente perchè il parroco non la scrisse. La ricerca parte dal 1622 (anno in cui cominciano i registri della parrocchia di S. Pietro) ed arriva fino alla fine del '700,dopo di che il lavoro è reso più difficile perchè pochissime volte viene indicata la provenienza; notevole diventa la mole delle registrazioni relativa ad una popolazione che era in continuo aumento, anche per il formarsi di una consistente gruppo stanziale anche a Marina. In quest'ultima frazione, infatti, andavano man mano affluendo persone dedite sia al lavoro dei campi nelle tenute Del Medico e Monzoni sia ai mestieri legati al mare: su un primo nucleo di avenzini (che non a caso erano spesso di origine genovese, come Vatteroni, Bogazzi etc) si andavano aggiungendo abitanti della piana di Luni. Così ai vari: Monconi, Arrighi, Paglini, Crudeli, Pianini, Strenta etc si affiancano i liguri prossimi Caleo, Telara, Bruzzi, Bassi, Maggiani: la forma- zione della flottiglia da carico porterà versiliesi e toscani in genere(ma anche come commercianti e lavoratori della terra) come Guidi, Cardinali, Paolini, Dini, Tamberi, Poletti, Giuntoli etc. A volte questi cognomi, si diffondevano anche all'interno, insieme ad altri di provenienza tradizionale dal massese come: Venturini, Pantera, Bonetti e Guerra, dall'ortonovese e bassa Val di Magra come Devoti, Andreani, Nardi eVernazza, i carrarini che calavano a valle erano più numerosi che in passato, ma a questo punto non si può più parlare di popolazione castellana: all'unità  d'Italia quasi 3500 abitanti erano sparsi per tutta la piana, l'immigrazione avveniva ormai a 360 gradi e da ogni parte d'Italia. Le singole località tendevano a divenire piccole frazioni (in particolare Marina) e la stessa "Chiopata"di Avenza si articolava ormai in tanti rioni. In effetti a ben vedere, all'interno delle mura si contavano, al cessato cata- sto, circa sessanta mappali, praticamente per altrettante famiglie. Già alla metà  del settecento risultava ben formato un borgo fuori le mura verso Massa (forse l'antico Borgo Nuovo) e uno oltre il ponte (ma anche a Marina vi era già  un piccolo gruppo sparso); all'interno del borgo murato gli spazi si erano saturati formando perfino delle "volte" abitate, sopra ai vicoli e, inoltre, veniva occupato anche il rivellino demolendone una parte. Le attenzioni degli estensi di Modena, sul ducato, avevano prodotto evidentemente i loro effetti, l'incremento dei traffici dei Marmi, la costruzione (sebbene fallita) di grandi opere tra cui il porto alla marina, dettero una scossa al movimento demografico praticamente fermo da un secolo alle 200-280 unità  e naturalmente, la popolazione non poteva essere più contenuta dalle anguste mura medievali. Alla fine del secolo, il fossato veniva lottizzato dalla Ducale Camera per costruirvi case e le mura pian piano abbattute, sebbene la fortezza venisse ancora considerata l'unica difesa della popolazione. Nell'ottocento, il borgo incastellato "Castel d'Avenza" non era più riconoscibile facilmente; ad uso edificatorio si demolirono tratti di mura ed una torre in chiasso del Fosso tra il 1822 eil 1823. La strada, fatta passare in mezzo al paese nel 1859, cancellava la porta a Massa (di cui oggi si vede solo un cardine) e, dalla parte opposta, le strutture esterne del Casino ; la demolizione della fortezza fu quindi l'epilogo di una progressiva trasformazione da castello a paese. L'ironia della sorte volle che le pietre della fortezza servissero (oltre che per le costruzioni civili e lavori pubblici a Marina), per le case dei nuovi rioni verso la stazione ferroviaria e delle segherie, simboli di un progresso che sembrava non guardare in faccia a niente e a nessuno. Un diffuso luogo comune definisce Avenza un paese di contadini, ma in realtà  la sua popolazione aveva una composizione molto varia. In effetti nel quattrocento si nota una notevole attività  legata ai prodotti della campagna come avveniva diffusamente nell'economia medievale ed anche la struttura delle case del borgo sembra assecondare questa peculiarità ; notevole l'attività  dei mulini mossi dalla corrente del fiume. Col tempo però i lavori legati al marmo prenderanno sempre più piede tra gli abitanti del castello. Alla metà  del sec.XVII, nonostante gli interventi di bonifica, le famiglie di coloni sparse per la campagna circostante, si contavano sulle dita ("tre fuochi fuori di Lavenza"da una nota del 1630). Dai registri parrocchiali risultano abitanti solo al Battilana a Monticello e Cavatela (dalle date delle icone sacre poste sulle case sparse da S.Antonio fino alla Grotta, si deduce che probabilmente erano qualcuna di più ma il dato cambia di poco). Da notare che le case costruite all'interno delle mura, dopo la rinascita albericiana, non avevano ne cantina ne granaio e il piano terra era usato a volte come bottega; solo quelle costruite sul fossato alla fine del settecento avranno un vano seminterrato (o qualcun'altra nei pressi). In realtà gli avenzini proprietari di terra erano pochi, come si legge in un rapporto di metà  ottocento: esistevano molti coloni, certamente, al ser- vizio dei grandi proprietari carraresi, dei pochi maggiorenti del paese ed aumenteranno di numero nel '700 e nell'800 tanto da donare alla chiesa l'altare di S. Isidoro Agricola, ma molto alto era anche il numero dei lavoratori del marmo specie dei trasportatori. All'atto dell' unità d'Italia i lavoratori del marmo in Avenza erano 745: 165 addetti ali lizze, 210 addetti a 30 carri, 60 barrocciai, 60 caricatori al ponte, 70 caricatori di spiaggia, 90 segatori e scalpellini e 90 cavatori. Aggiungiamo artigiani, commercianti, professionisti, marittimi, consideriamo donne, bambini e anziani e ci accorgiamo che la contadinanza vera e pro- pria era costituita, in percentuale, da non molte famiglie. Se è vero che il documento è tardo, è altrettanto vero che gli avenzini comunque erano il trait d'union tra le cave e il mare fin dal XV secolo, come ci testimonia la Klapish Zuber . Certo quasi tutti integravano il reddito col lavoro nel campicello, quasi sempre gravato di livello a favore di famiglie carrarine o del monte che nei secoli si erano spartite la proprietà  della pianura, ma l'attività agricola era praticata ne' più ne' meno di quanto avvenisse nelle altre vicinanze. Ricerca di Pietro Di Pierro
Venerdì 03 Giugno 2011 | 6066 hits | Stampa | PDF |  E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione

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