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Storia/Storia di Avenza
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"...Una formella quattrocentesca con lo stemma di Avenza (una mezzaluna)" con queste brevi parole la Guida di Carrara di Bizzarri e Giampaoli (1932), descrive l'antica arme scolpita sulla facciata della parrocchiale di S. Pietro. In realtà questo bassorilievo, è testimone di quella lunga pagina di storia che è stata il dominio dei vescovi di Luni; uno dei simboli, insieme al crocifisso ligneo del XII secolo che la tradizione dice trasportato da una chiesa lunense, dell'antica appartenenza del paese, sebbene sia ancora misterioso il loro arrivo. Avenza nel medioevo fa parte del territorio metropolitano di Luni e la chiesa di S. Pietro ne costituisce la più importante chiesa capitolare, erede dell'omonima basilica fuori le mura. Anzi alla fine del XII secolo, il borgo, diventa fulcro di un'azione contrastante la nascente realtà comunale di Carrara: la fondazione di un "borgo nuovo" vicino al mare e all'acqua dell'Avenza, con la quale si cerca di incrementare il "borgo vecchio" per controbilanciare l'espandersi della città marmifera. Anche dopo il 1204, quando la chiesa di S. Pietro è ceduta ai canonici di S. Frediano di Lucca, già detentori di S. Andrea in Carrara ( formando un'unica vicaria), i vescovi promulgheranno tutta una serie di atti tesi ad affermare la loro sovranità sul territorio, continuamente messa in dubbio: importante è la riaffermazione della competenza vescovile sul "pedagium Aventiae". E' significativo poi che il primo statuto di Carrara venga promulgato nel 1235, proprio nella chiesa di Avenza. Il potere vescovile, progressivamente svuotato, termina nel 1313, con l'esautorazione da parte dell'imperatore Enrico VII. Tornando allo stemma e simbolo dell'autorità lunense, deve essere inquadrato in questa serie di eventi storici, piazzato lì a ricordare l'appartenenza del borgo; la sua datazione alla luce di quanto esposto, sembra quindi doversi spostare ad almeno un secolo prima rispetto a quanto asserito da alcuni La sua simbologia ha radici nell'antichità romana, potendo ravvisare una certa somiglianza con "l'emblema di Diana per dirla con Reperti; esso è raffigurato su alcune formelle rinvenute a Luni nel XVIII secolo e riprodotte da V.e P.Vinzoni quali simbolo della Dea Luna protrettrice della "Splendida Civitas". Nel medioevo diventa simbolo della città , del potere dei suoi vescovi e dell'intera diocesi. E' poi recepito negli stemmi di vari Comuni della zona e perfino nell'arme di qualche ramo malaspiniano; appare ancora come simbolo della Lunigiana storica sulle stampe settecentesche e finisce poi in capo agli stemmi delle province di La Spezia e M Carrara. La mezzaluna di Avenza o "crescente montante" secondo la terminologia araldica, ha le punte che tendono a riunirsi e la sfaccettatura su due piani; per il colore in mancanza di notazioni grafiche sarebbe da considerarsi "al naturale": argento in campo azzurro. Si potrebbe osservare che Carrara, già sede vescovile (in Vezzala), con il suo marmo "lunense" ed il porto, è l'erede naturale di Luni e, quindi, potrebbe fregiarsi del suo emblema ma nei secoli questa eventualità non si è mai verificata (nemmeno vi si è pensato nei dotti studi e ricostruzioni più o meno recenti); diciamo che la gelosa affermazione dell'autonomia comunale si è espressa a nche attraverso i simboli (l'unica mezzaluna trovata nel centro storico, è su un capitello abbandonato nei pressi del Duomo di destinazione ignota ed oggi conservato al Museo Civico del Marmo). I simboli, c'è da dire, sono soggetti alle mode; ad esempio nel 1848 quando la frazione di Avenza (con la sua Marina) si erige in Governo provvisorio dandosi in protettorato a Carlo Alberto di Savoia e staccandosi da Carrara, assume come emblema la fortezza su cui sventola il tricolore con lo scudo sabaudo. Detta bandiera è imposta anche alla flottiglia locale, la Bandiera italiana d'Avenza, come è chiamata con orgoglio per distinguerla da quella con stemma lorenese alzata a Carrara e a Massa. I valori risorgimentali avevano pesato in maniera determinante sulla scelta, peccato che pochi anni dopo, il "simbolo" della fortezza, venduto dallo Stato italiano ai demolitori, abbia trovato pochi difensori e toccasse al tedesco Mommsen salvare il salvabile. Oltre un secolo più tardi troviamo ancora la fortezza (ormai ridotta ad un solo torrione) accollata ad un'ancora nella proposta di stemma del mancato comune di "Marvenza". Splendori e miserie dei simboli! Ma l'ottocento è anche il secolo delle riscoperte delle antiche origini: il nome Avenza nei primi del secolo è definitivamente restaurato in luogo del volgare medievale "Lavenza" (nato dalla conglutinazione dell'articolo). Gli storici Gerini e Sforza riordinano le notizie circa gli uomini illustri del piccolo borgo: Giovanni De Rossi (prelato del '500) e Giovan Pietro d'Avenza (umanista del 1400) mentre il Repetti ricorda come il fiume principale che scorre attraverso la città di Carrara e il piccolo borgo, non si chiamasse Carrione ma Avenza (il "Flumen Aventia" della Tabula Peutingeriana) ed infine il canonico Pietro Andrei in un manoscritto ricorda la mezzaluna sulla facciata della chiesa, tra i "monumenti" di Avenza. In seguito anche alcuni privati lo riproduranno come arredo: il proprietario del cinema l'Arena lunense, lo adotta come insegna del proprio locale . Si recupera quindi la "lunensità" di Avenza nell'immaginario collettivo che si manifesta nel detto popolare "Avenza avanzo di Luni" (con vari accenti più o meno polemici). Oggi infine, l'antico stemma trova posto sul dipinto curato dall'Accademia di Belle Arti, nella sala della Circoscrizione n. 4 ad Avenza. A prescindere dal successo dell'opera (ai posteri 1'ardua sentenza), è positivo che i due stemmi di Carrara e di Avenza compaiano accoppiati non più nell'antica contrapposizione tra potere vescovile e libero comune e neppure nella più moderna Carrara accentratrice versus Avenza e Marina autonomiste, ma piuttosto come proposta di una nuova simbologia araldica per la città, che recuperi in qualche modo parte delle sue radici che, proprio Avenza, la più polemica delle sue frazioni, le offre.
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Storia/Storia di Avenza
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Il primo abitante certo di Avenza è quel "Gherardo de Aventia" che risulta tra i firmatari di un atto del Codice Pelavicino dell'anno 950, for- nendo la notizia indiretta dell'esistenza dell'abitato di Avenza prima ancora che la stessa fonte fornisca quella di Carrara (nel 963) tuttavia le fonti sono scarse prima del XTV secolo. Solo i contratti di locazione degli eredi di Castruccio Castracani alla fine del '300 fanno riferimento a persone che prendevano in affitto le singole parti del palazzo;la qual cosa mostra una certa vitalità del borgo non ancora nella fase acuta della crisi che tra il quattro e il cinquecento lo portò quasi all'estinzione, ma non è sufficiente per un quadro della situazione demografica. Scarse quindi, sono le notizie sulla popolazione del borgo prima del XVI secolo ma qualcosa di più preciso possiamo trarre dagli estimi del XV secolo. Risultano in questi atti 57 proprietari di case in Avenza che evidentemente per ebbe alterne fortune: le troppe guerre, i troppi padroni, la troppa insalubrità e la troppa miseria, non l'aiutarono certo, fatto sta che quando il Principe Alberico I Cybo- Malaspina, ne prese possesso, praticamente era disabitata, e nel primo censimento, per dirla con lo Sforza, di "Avenza non si fa motto", altrove di parla di due sole famiglie ma la sostanza non cambia. Dalle fonti d'archivio sopra citate è tuttavia possibile ricostruire la struttura sommaria dell' abitato che si snodava sulla pubblica via (praticamente un decumano, sulla dirczione levante-ponente della via Romea) con due porte corrispondenti: la "porta mastra" verso Massa e l'altra "quae prope Sarzana". Il borgo si articolava in diversi isolati divisi l'uno dall'altro da un cosiddetto "solco del comune", un vicolo che fungeva anche da scolo delle acque. Purtroppo il fatto che la "prima casa" fosse esente da imposta, non ci da ne in numero esatto delle abitazioni, ne la ricostruzione dei vari isolati che possiamo comunque stimare in sei o sette; forse vi era una via che incro- ciava ortogonalmente la via principale al centro (si parla di una "via della chiesa" e di due case con la "via da due parti"), probabilmente con porte corrispondenti a monte (quella tutt'oggi visibile?) e a mare (si cita una "murata" vicino al cimitero e alla porta). Ma tornando ad Alberico I vediamo che la posizione di Avenza, in (mezzo ad una campagna da sfruttare e vicino ad un mare da cui trarre vantaggio, convinsero il principe ad invogliare la gente delle località viciniori a venire a ripopolare l'antico borgo; fece rifare "le muraglie della terra" come ci narra Guaspar Venturini, e concesse esenzioni dalle tasse, espediente questo usato con successo dai Medici per popolare Livorno. L'incremento della popolazione all'inizio fu minore di quello sperato (Alberico in una lettera si lamenta che erano solo 60 fuochi, ma se così fosse si sarebbe potuto rallegrare, il numero delle famiglie delle varie vicinanze era stato evidentemente gonfiato per far bella figura col destinatario della lettera). L'andamento della popolazione si può così riassumere con una tabella Gli ultimi dati si riferiscono ancora all'intera popolazione parrocchiale comprensiva di Marina che alla metà del secolo contava circa 500ab.circa). Come si vede l'andamento della popolazione non era omogeneo, a causa anche dell' altissima mortalità infantile (che faceva si che il saldo naturale fosse spesso negativo) e della qualità della vita che, nonostante il favorevole regime fiscale, non riusciva a far decollare l'andamento demografico; a cavallo tra il '600 e il '700 ci fu una flessione, ma il trend alla fine fu più che positivo : La bonifica della campagna di ponente, commissionata ali' ingegnere carpigiano Marcantonio Fasi nel 1588, sicuramente contribuì a rendere più abitabile la piana, l'aumento delle spedizioni di marmo via mare, poi, attirò mano d'opera dai paesi vicini, specie nella seconda metà del XVDIII secolo. Ma da dove venne tutta questa gente? I libri parrocchiali dei sacramenti (battesimi, matrimoni, sepolture) ci aiutano a capire i flussi migratori: i cognomi degli avenzini attuali sono come i coloranti dispersi nelle acque per capirne il percorso. Le direttrici principali sono trà: La Liguria prossima, cioè il sarzanese bassa vai di Magra e Vara; il Massose, Mirteto in particolare; infine la riviera genovese di levante, in particolare Lavagna, Sestri Levante e zone viciniori. Tra i cognomi di provenienza sarzanese, dalla Bassa Lunigiana e Val di Vara: Giannetti, Zanetti, Corsi (da Nicola); Corsini e un ramo dei Tognini(Castelnuovo); Ercolini, Genovesi, Redini, Marchini, Moruzzi, e un ramo dei Tosi(Sarzana); Marchi e De Marchi (Ameglia); Borghetti (da Borghetto Vara); Crudeli (da Matarrana). Forte fu l'immigrazione dal Mirteto: Santucci, Del Padrone, Battistini, Giannoni, Franciosi, Bartoloni o Bertoloni, Scavezzoni, Manfredi, Bottari, Pucci, Ricci, Tonazzini, Arrighi, Soldati, Simonini, Sgadò, Magnani, Lazzini, Mosti, Tonarelli, ed anche un ramo dei Monconi. Altri cognomi come Bordigoni e Alibani, sono diffusi nella campagna della destra del Frigido, ma non segnata la provenienza; sono poi reperibili altrettanti cognomi di mortegiani, oggi non più diffusi ad Avenza. Non mancano, anche se in proporzione minore, le immigrazioni da altre vicinanze carraresi: Strenta e Bruschi(da Fontia), Pianini e Pisani (da Moneta), Binelli(da Miseglia), Guadagni (da Bedizzano), Girolmini, Morescalchi e Ragaglini (da Carrara), ma quest'ultimo cognome è presente anche tra i proprietari di Avenza nel XV secolo, segno di una fuga con ritorno delle famiglie. Notevole anche la direttrice migratoria "genovese" dalla riviera di levante:Cordiviola o Cordeviola (da Lavagna, ma anche da Sestri L. e Cavi); Dazzi(da S. Giulia di Centaura); Vatterone o Vatteroni (da S.Bartolomeo della Ginestra e anche da Cavi); Lucetti (da Riva di Sestri); Dentone o Dentoni (da Riva di Sestri); Botti (da Lavagna); Bogazzi (da Sestri L.e da Cavi); Bologna (da Sestri L.); Ravenna (da Cavi); Tosi (da Cavi e dalla Ginestra e un ramo da Sarzana); Galli (da Trigoso); Cucurnia (da Cogorno); Sebastiani (da Chiavari); Olivieri (dalla Ginestra); Vignoli (da Paraggi). Vi sono poi cognomi simili ad altri oggi diffusi come Bogliano (Bugliani) da Sestri, Magino (Maggini) da Lavagna, Bregante (Briganti)da Trigoso (ma presente anche a Bergiola ). Ancora altri cognomi provengono dall'area del golfo di La Spezia : Faggioni (da Cadimare), Manfroni (da La Spezia), Solari (da S.Bartolomeo di Lerici e da Chiavari), Ratti (da S.Terenzo); Altri cognomi sono dati semplicemente come "genovesi" come Costa e Mussi, altri lo sono chiaramente come Sanguineti e Uneti; seguono ancora una decina di cognomi che oggi non sono più diffusi. Scarsa, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, l'immigrazione dall'Emilia: Fattori (da Ferrara) e Martinelli (da Modena). Sporadiche sono le presenze versiliesi: Balderi (da Seravezza), Stefanini (da Camaiore). Una domanda viene spontanea: quali sono le famiglie più antiche di Avenza? E' molto difficile stabilirlo, per il tardo inizio dei registri. La presenza di un Monconi "de Aventia" morto a cento anni nel 1650, farebbe pensare che una delle due famiglie che abitavano Avenza al tempo di Alberico fosse proprio quella, ma anche Paglino(o Paglini) compare tra le registrazioni più antiche,come pure il cognome tipico carrarese Campi e quello gragnanino Lombardini, anche Zaccagna appare tra i primi e rimane a lungo. Alcune direttrici migratorio hanno radici antiche, come quella dal circondario lunense, ma anche quella mortegiana (ricordiamo che l'umani- sta Giovan Pietro Avenzino,secondo gli studi di G. Sforza apparteneva ad una famiglia originaria del Mirteto, i Vitali). L'immigrazione genovese ha i precedenti nell'accoglienza di Alberico I ai fuorusciti di questa regione (non a caso troviamo ad Avenza anche un Dazzi "di Carrara" quindi già naturalizzato): era il popolo dei "leuti", le veloci imbarcazioni a vela latina per il piccolo cabotaggio, che arrivava sulla spiaggia di Lavenza e spesso vi rimaneva, come quel Cordeviola "marinaro" di Lavagna il cui mestiere il parroco annotava sul registro sacramentale (il che non avveniva quasi mai).Spesso i "Genovesi" si naturalizzavano, per poter commerciare liberamente il marmo da sudditi cybei. Questi movimenti di popolazione hanno lasciato tracce anche sul dialetto, sensibilmente diverso dal carrarino, come il modo di formare il plurale del femminile, simile a quello della destra Frigido del massose, o alcuni vocaboli ligureggianti, purtroppo non tutti sopravvissuti all'italianizzazione del dialetto. La somiglianza di impostazione col gragnanino, ha fatto pensare che comunque, in origine, vi fosse stata una forte compenetrazione con la popolosa frazione montana. Chiaramente, non tutti i cognomi, hanno avuto seguito "dinastico" nella stessa epoca, alcuni si sono estinti e sono riapparsi in immigrazioni più recenti, ma in questa sede servono per individuare i flussi migratori che hanno contribuito a popolare Avenza. Si rileva che esistono molti cognomi di cui non è possibile risalire all'origine, semplicemente perchè il parroco non la scrisse. La ricerca parte dal 1622 (anno in cui cominciano i registri della parrocchia di S. Pietro) ed arriva fino alla fine del '700,dopo di che il lavoro è reso più difficile perchè pochissime volte viene indicata la provenienza; notevole diventa la mole delle registrazioni relativa ad una popolazione che era in continuo aumento, anche per il formarsi di una consistente gruppo stanziale anche a Marina. In quest'ultima frazione, infatti, andavano man mano affluendo persone dedite sia al lavoro dei campi nelle tenute Del Medico e Monzoni sia ai mestieri legati al mare: su un primo nucleo di avenzini (che non a caso erano spesso di origine genovese, come Vatteroni, Bogazzi etc) si andavano aggiungendo abitanti della piana di Luni. Così ai vari: Monconi, Arrighi, Paglini, Crudeli, Pianini, Strenta etc si affiancano i liguri prossimi Caleo, Telara, Bruzzi, Bassi, Maggiani: la forma- zione della flottiglia da carico porterà versiliesi e toscani in genere(ma anche come commercianti e lavoratori della terra) come Guidi, Cardinali, Paolini, Dini, Tamberi, Poletti, Giuntoli etc. A volte questi cognomi, si diffondevano anche all'interno, insieme ad altri di provenienza tradizionale dal massese come: Venturini, Pantera, Bonetti e Guerra, dall'ortonovese e bassa Val di Magra come Devoti, Andreani, Nardi eVernazza, i carrarini che calavano a valle erano più numerosi che in passato, ma a questo punto non si può più parlare di popolazione castellana: all'unità d'Italia quasi 3500 abitanti erano sparsi per tutta la piana, l'immigrazione avveniva ormai a 360 gradi e da ogni parte d'Italia. Le singole località tendevano a divenire piccole frazioni (in particolare Marina) e la stessa "Chiopata"di Avenza si articolava ormai in tanti rioni. In effetti a ben vedere, all'interno delle mura si contavano, al cessato cata- sto, circa sessanta mappali, praticamente per altrettante famiglie. Già alla metà del settecento risultava ben formato un borgo fuori le mura verso Massa (forse l'antico Borgo Nuovo) e uno oltre il ponte (ma anche a Marina vi era già un piccolo gruppo sparso); all'interno del borgo murato gli spazi si erano saturati formando perfino delle "volte" abitate, sopra ai vicoli e, inoltre, veniva occupato anche il rivellino demolendone una parte. Le attenzioni degli estensi di Modena, sul ducato, avevano prodotto evidentemente i loro effetti, l'incremento dei traffici dei Marmi, la costruzione (sebbene fallita) di grandi opere tra cui il porto alla marina, dettero una scossa al movimento demografico praticamente fermo da un secolo alle 200-280 unità e naturalmente, la popolazione non poteva essere più contenuta dalle anguste mura medievali. Alla fine del secolo, il fossato veniva lottizzato dalla Ducale Camera per costruirvi case e le mura pian piano abbattute, sebbene la fortezza venisse ancora considerata l'unica difesa della popolazione. Nell'ottocento, il borgo incastellato "Castel d'Avenza" non era più riconoscibile facilmente; ad uso edificatorio si demolirono tratti di mura ed una torre in chiasso del Fosso tra il 1822 eil 1823. La strada, fatta passare in mezzo al paese nel 1859, cancellava la porta a Massa (di cui oggi si vede solo un cardine) e, dalla parte opposta, le strutture esterne del Casino ; la demolizione della fortezza fu quindi l'epilogo di una progressiva trasformazione da castello a paese. L'ironia della sorte volle che le pietre della fortezza servissero (oltre che per le costruzioni civili e lavori pubblici a Marina), per le case dei nuovi rioni verso la stazione ferroviaria e delle segherie, simboli di un progresso che sembrava non guardare in faccia a niente e a nessuno. Un diffuso luogo comune definisce Avenza un paese di contadini, ma in realtà la sua popolazione aveva una composizione molto varia. In effetti nel quattrocento si nota una notevole attività legata ai prodotti della campagna come avveniva diffusamente nell'economia medievale ed anche la struttura delle case del borgo sembra assecondare questa peculiarità ; notevole l'attività dei mulini mossi dalla corrente del fiume. Col tempo però i lavori legati al marmo prenderanno sempre più piede tra gli abitanti del castello. Alla metà del sec.XVII, nonostante gli interventi di bonifica, le famiglie di coloni sparse per la campagna circostante, si contavano sulle dita ("tre fuochi fuori di Lavenza"da una nota del 1630). Dai registri parrocchiali risultano abitanti solo al Battilana a Monticello e Cavatela (dalle date delle icone sacre poste sulle case sparse da S.Antonio fino alla Grotta, si deduce che probabilmente erano qualcuna di più ma il dato cambia di poco). Da notare che le case costruite all'interno delle mura, dopo la rinascita albericiana, non avevano ne cantina ne granaio e il piano terra era usato a volte come bottega; solo quelle costruite sul fossato alla fine del settecento avranno un vano seminterrato (o qualcun'altra nei pressi). In realtà gli avenzini proprietari di terra erano pochi, come si legge in un rapporto di metà ottocento: esistevano molti coloni, certamente, al ser- vizio dei grandi proprietari carraresi, dei pochi maggiorenti del paese ed aumenteranno di numero nel '700 e nell'800 tanto da donare alla chiesa l'altare di S. Isidoro Agricola, ma molto alto era anche il numero dei lavoratori del marmo specie dei trasportatori. All'atto dell' unità d'Italia i lavoratori del marmo in Avenza erano 745: 165 addetti ali lizze, 210 addetti a 30 carri, 60 barrocciai, 60 caricatori al ponte, 70 caricatori di spiaggia, 90 segatori e scalpellini e 90 cavatori. Aggiungiamo artigiani, commercianti, professionisti, marittimi, consideriamo donne, bambini e anziani e ci accorgiamo che la contadinanza vera e pro- pria era costituita, in percentuale, da non molte famiglie. Se è vero che il documento è tardo, è altrettanto vero che gli avenzini comunque erano il trait d'union tra le cave e il mare fin dal XV secolo, come ci testimonia la Klapish Zuber . Certo quasi tutti integravano il reddito col lavoro nel campicello, quasi sempre gravato di livello a favore di famiglie carrarine o del monte che nei secoli si erano spartite la proprietà della pianura, ma l'attività agricola era praticata ne' più ne' meno di quanto avvenisse nelle altre vicinanze.
Ricerca di Pietro Di Pierro
Venerdì 03 Giugno 2011 | 6076 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Storia/Storia di Avenza
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Durante la prima guerra d'indipendenza le città di Massa e di Carrara, cacciati gli estensi optano per l'unione al Granducato di Toscana, Avenza (e la sua Marina) invece, decidono l'unione al Regno di Sardegna. Si forma un governo provvisorio che, tra le varie competenze, si arroga anche quella di dare bandiera ai bastimenti che fanno capo alla "sezione di Avenza": si tratta del tricolore con stemma sabaudo adottato da Carlo Alberto, ma i governanti provvisori, per distinguerlo da quello con stemma granducale in uso a Massa e a Carrara, con un punto d'orgoglio lo denominano "Bandiera italiana d'Avenza". Non è stato possibile rintracciare l'atto ufficiale, ma che si tratti della nuova bandiera del Regno di Sardegna lo si deduce da una lettera di C. Triscomia in cui parla di "sabaudo vessillo" inalberato dagli avenzini inoltre, dal fatto che viene raffigurato sui timbri sventolante sulla fortezza, assunta a simbolo del Governo Provvisorio, infine va da sè che è sempre opportuno presentarsi ai porti mediterranei coperti da bandiera riconosciuta. Qualche dubbio rimane sul fatto se lo scudo abbia o no il bordo azzurro, si può presumere tuttavia che non Io abbia similmente alla maggior parte della marina mercantile sarda. C'è da dire, infatti, che al contrario di quello delle bandiere di terra, il decreto riguardante le bandiere marittime, non fa menzione del bordo azzurro anzi, le autorità competenti spediscono agli stati esteri disegni in cui non vi è; inoltreva detto che, in ogni caso lo scudo dovrebbe toccare il verde e il rosso lateralmente, ma per motivi di estetica e leggibilità , c'è chi lo stacca di più o di meno, o lo sposta sul verde, o chi mette il bordo azzurro; disordine questo, sanato solo successivamente da una circolare del Cavour nel 1851 con qualche strascico polemico. Dalla rappresentazione sui timbri, nella bandiera di Avenza lo scudo di Savoia è leggermente staccato verso il centro, motivo in più per ritenerlo privo di bordo in quanto, in caso contrario, secondo il Regolamento della Guardia Nazionale avrebbe dovuto toccare i colori laterali. Tratto dal libro "La Marina di Avenza tra Vele e Bandiere" di Pietro Di Pierro
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Storia/Storia di Avenza
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Arme: scudo gotico antico Blasonatura araldica: d'azzurro al crescente montante d'argento. Vale a dire: il campo dello scudo è azzurro con una mezzaluna (che nella terminologia araldica è sempre chiamata "crescente") con i comi rivolti verso l'alto (in araldica l'aggettivo "montante" descrive questa posizione). Il colore bianco e il "metallo" argento coincidono. (Lo stemma è ereditato dall'antica Luni alla quale Avenza era legata fino al 1204. si trova sulla facciata della chiesa parrocchiale di San Pietro. In antico era simbolo di Diana. I colori sono stati ricostruiti "al naturale" e secondo l'uso follone dagli enti pubblici moderni che si rapportano all'eredità storica di Luni). Decorazioni esterne: Lo scudo è accollato nel capo ad una fortezza al naturale mostrante due torrioni e inalberante sulla torretta centrale la bandiera italiana di Carlo Alberto. (La scelta della figura è data dal sigillo del "Governo provvisorio di Avenza" del 1848, quando Avenza si staccò da Carrara, dandosi in protettorato a Carlo Alberto rè di Sardegna, nelle vicende risorgimentali della prima guerra di indipendenza). Il tutto tra due tralci di ulivo e alloro decussati (incrociati) e legati con nastro tricolore. (I rami sono simbolo della cultura materiale della bassa Lunigiana) Al di sotto, su una lista bifida, la scritta latina AVENTIA con due sigilli rossi recanti le insegne dei santi protettori: le chiavi di San Pietro (titolare della chiesa madre) e il Icone di San Marco (patrono del paese). (il nome AVENTIA, dato al fiume oggi detto Carrione è la denominazione latina più antica,
sostituita nel medioevo con Lavenza. I Santi protettori sono stati ereditati dalla tradizione religiosa Lunense). Drappo del gonfalone: Bianco con una cornice così formata: un doppio nastro giallo-rosso con al centro una sequenza di rami di spino fiorito legati da fiocchi rossi. (La scelta è motivata, per il colore, dalla regola araldica di seguire per i drappo il colore della figura, per il disegno, dalla bandiera usata alla fine del XVII secolo dalle imbarcazioni avenzine, data da Alberico II, appunto, bianca con la cornice formata dai colori e dalla figura araldica malaspiniana ma con, al centro, lo stemma dei Cybo Malaspina) In definitiva il gonfalone scelto dalla Circoscrizione comunale n. 4 - AVENZA- è la sintesi di simboli che rappresentano e raccontano la storia di Avenza attraverso i secoli. Disegni e relazione di Pietro di Pierro per conto della Circoscrizione n°4- AVENZA
Venerdì 03 Giugno 2011 | 5223 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Storia/Storia di Avenza
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Che ad Avenza funzionasse una marineria locale, si ha notizia fin dal medioevo, ma evidentemente seguì anch'essa le sorti del borgo che conobbe periodi di spopolamento e rinascita. Sotto i Cybo-Malaspina, la popolazione riprese le attività legate al mare, rilanciate quasi sicuramente anche dall'immigrazione di alcune famiglie genovesi dalla riviera di Sestri Levante e Lavagna.Nel XVIII sec, al tempo di Maria Teresa Cybo-Malaspina e sua figlia Maria Beatrice d'Este, si concessero parecchi brevetti di padrone di barca, 121 per la precisione, a marinai locali e di altre località .Fu anche tentata l'escavazione di una darsena fallita per il ritirarsi del mare: faceva parte di un progetto ciclopico di cui la darsena effettivamente scavata era solo la minore delle due ideate; le previsioni del progettista, Ing.Milet, comprendevano un'intera città, Nouvelle Carrare, con tanto di chiese di reggia, ma solo due casamenti (magazzino e corderia ai lati della darsena) furono realizzati. La localizzazione del complesso (oggi scomparso) è possibile confrontando, il catasto di Maria Beatrice all'attuale: il sito è compreso tra Via Nazario Sauro e Via Capitan Fiorillo tra Ruga Maggiani e il prolungamento ideale di Via Varsavia. L'incremento della spiaggia, portò le autorità estensi intorno al 1830 a spostare in avanti la posizione della batteria costiera costruita alla fine del 700 (praticamente dal sito del casamento Fabbricotti la loggia , a quello tra Via Genova e Via del Commercio, sempre sul lato levante dell'attuale piazza Gino Menconi). Ma tornando al tema della navigazione, osserviamo che ai primi dell'ottocento, una serie di vicissitudini (complici gli episodi bellici dell'epoca napoleonica) praticamente azzerarono le capacità marinare avenzine, tanto che nel 1841, quando Domenico fabbricotti dovette reclutare l'equipaggio della goletta S.Andrea, fu costretto a ricorrere a maestranze versiliesi, poichè in loco, coloro che erano capaci di manovrare velieri si contavano sulle dita di una mano. Ma questo episodio rappresenta l'inizio di un era per quello che era ormai un nuovo centro: la Marina di Avenza, che ai primi del Settecento consisteva in qualche magazzino, qualche capanna e la cappella di San Erasmo (protettore dei Naviganti), il tutto sparso su di una duna sabbiosa di recente formazione, ma che intorno al 1840, riprende nuovo vigore con assegnazioni di terreni e dal 1851, con la costruzione del pontile Walton e la quasi contemporanea formazione di una cospicua flottiglia di navicelli. Inizia in pratica la nuova storia di quella che verrà chiamata Marina di Carrara Tratto dal libro "La Marina di Avenza tra Vele e Bandiere" di Pietro Di Pierro
Venerdì 03 Giugno 2011 | 5538 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Cultura/Dialetto
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La Via Francigena varcava lo spartiacque appenninico entrando nel mondo mediterraneo non lontano dall'attuale valico della Cisa (o Via di Monte Bardone, dall'antico Mons Longobardorum), e andava verso il mare seguendo il corso del fiume Magra. La Val di Magra è tutt'oggi fulcro di importanti nodi stradali e ferroviari, e ha mantenuto integre le sue bellezze: castelli di diverse forme architettoniche, pievi romaniche, borghi murati ancora ben conservati e ricchi di fascino. Tutta la Valle, compresa fra le province di Massa Carrara e La Spezia, offre riposanti paesaggi con verdi boschi e fiumi dalle limpide acque fino al mare, dove ad un litorale sabbioso a sud si contrappone a nord la costa impervia, frastagliata e suggestiva con borghi medievali, quali Portovenere e Lerici, e gli incantevoli vigneti delle Cinque terre a strapiombo sul mare. Attraversato il passo la strada giungeva a Montelungo dove il Monastero di S. Benedetto, oggi distrutto, offriva ospitalità. Si scendeva quindi a Pontremoli, importante centro della Lunigiana, terra dei Liguri Apuani, dove, nella chiesa di S. Pietro, ancora oggi si conserva il "labirinto", simbolo dei pellegrinaggi diretti in Terra Santa. Oggi Pontremoli è una tranquilla cittadina con numerose emergenze storiche ed architettoniche: palazzi barocchi, chiese, caratteristici ponti sul ghiaioso Magra, e conserva, nel castello del Piagnaro, diverse statue stele o menhir, lastre di pietra o stele funerarie con scolpite sembianze umane stilizzate. La strada giungeva poi a Filattiera, con la pieve romanica di Sorano ancora visibile, e quindi Villafranca, ove si riscuotevano i pedaggi sulla Via Romea. La Francigena costeggiava la Magra e giungeva ad Aulla, quindi entrando in provincia della Spezia a Santo Stefano Magra, di origine antica, che conserva ancora tratti delle mura medioevali: da qui subito si raggiungeva Sarzana. La Via Romea si dirigeva poi verso Luni, città di origini romane, che fu importante porto da cui partivano i marmi per Roma; poco lontano era il porto di S. Maurizio, ove si imbarcavano i pellegrini diretti a Santiago di Compostela. A Luni interessante da visitare sono il Museo archeologico e i resti della città romana: il foro, la casa degli affreschi, l'anfiteatro. Passando poi per Avenza, in prossimità di Carrara, la Via raggiungeva Massa, dove, in località S. Leonardo al Frigido, a pochi chilometri dalle assolate spiagge della riviera apuana, vi era un grande borgo (ancora oggi vi è una chiesa) con un ospedale dei Cavalieri gerosolimitani di S. Giovanni. Imponenti si stagliavano le pareti delle Apuane, famose per le cave di marmo che fornirono anche a Michelangelo i blocchi per le sue opere.
Venerdì 03 Giugno 2011 | 3642 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Cultura/Dialetto
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I vari idiomi di Carrara in un cd di Cantarelli CARRARA. La città assomiglia a un quadro dipinto dal tempo: ma i quadri sono parole che escono dalla tela e ci attraversano, parole che abbiamo dentro da sempre, senza saperlo. Sono colori, contrasti... gli stessi della vita. Con queste parole, il cantautore carrarese Renzo Cantarelli ci presenta Stede d'tela, ultima produzione discografica dell'artista nostro concittadino. Il cd, ora in fase di rifinitura, sarà tra poco sul mercato e conterrà 12 inediti cantati nel nostro dialetto e frutto di una ricerca filologica di storie facenti parte della leggenda popolare. Da questo studio, sono nate canzoni ambientate nell'epoca storica della Carrara del Quindicesimo e Sedicesimo secolo, ma dai contenuti estremamente attuali. L'analisi di Cantarelli è approfondita e curata, soprattutto nella ricerca del dialetto più puro, al quale è stata affiancata un'attenta osservazione relativa alla provenienza dello stesso; nell'album, infatti, è possibile trovare brani in dialetto carrarese, così come in avenzino e marinello, idiomi simili, ma non uguali: la croza carrarina (croce), ad esempio, diventa «crocia» in Avenzino. Con la collaborazione di musicisti di livello nazionale, quali Vito Ulivi, Gianluca Minguzzi, Mario Ussi, Nillo Menconi, Pietro Bertilorenzi, ed Enrico Barbagli, sono state realizzate musiche con strumenti acustici, fatto che eleva ancor maggiormente la qualità del lavoro svolto. L'intento del cantautore è stato quello di contrapporre, nei testi e negli arrangiamenti, l'anticlericalismo storico di Carrara alle tradizioni popolari, sempre fondamentalmente religiose. Da questa antitesi, nascono brani come «Madunina» che ricorda il 24 giugno 1495, quando Carlo VIII era in procinto di entrare a Carrara per saccheggiarla; la popolazione, spaventata e impotente, si rivolse con supplica all'immagine della Madonna dipinta nei pressi della porta Ghibellina, ponendo simbolicamente ai suoi piedi le chiavi della città , come a volergliela affidare. E Carrara, venne inspiegabilmente risparmiata dal saccheggio. Storie popolari, insomma, radicate nella nostra terra e nella nostra cultura, che Cantarelli presenterà alla fine di luglio presso i giardini di Casa Pellini ad Avenza, per poi divulgare la propria opera nei paesi della nostra città , con il preciso intento di coinvolgere la gente per un connubio tra musica e rappresentazione teatrale. Alcuni assaggi del brano, saranno presto a disposizione sul portale www.avenza.it, sempre particolarmente attento agli eventi culturali della nostra zona. David De Filippi
Venerdì 03 Giugno 2011 | 4342 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Storia/Personalità di Avenza
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Guglielmo Borghetti (Avenza, 25 marzo 1954) è un vescovo cattolico italiano.
Biografia Dopo aver frequentato il liceo classico "Emanuele Repetti" di Carrara, ha conseguito la laurea in Filosofia, presso l'Università di Pisa, il Baccalaureato in Psicologia presso l'UPS. In seguito, è entrato in seminario, completando gli studi di teologia. La sua vocazione è nata e cresciuta nella parrocchia di San Pietro di Avenza, durante gli anni in cui parroco era mons. Cesare Gentili; è stato quindi ordinato sacerdote nella Cattedrale di Massa il 17 ottobre 1982 da Aldo Forzoni, vescovo di Massa, ed è quindi stato incardinato nella stessa diocesi. Nel suo ministero ha svolto i seguenti incarichi: è stato vicerettore e poi rettore del seminario diocesano; parroco della basilica cattedrale di Massa; dal 1993, direttore spirituale del seminario diocesano e contemporaneamente direttore dell'Ufficio diocesano per le Vocazioni; dal 1993 al 1996, vicario episcopale per la pastorale; dal 1997, parroco in Santa Maria della Rosa in Montignoso; dal 1999, preside dello Studio Teologico Interdiocesano "Monsignor Enrico Bartoletti" di Camaiore. Nel 2002 ha fondato, con il sostegno e l'autorizzazione dei vescovi dello Studio Teologico, l'Istituto Studi e Ricerche di Pastoral Counseling. L'istituto, oltre che fornire il servizio di consulenza alla vita consacrata, possiede anche una scuola triennale di formazione in Pastoral Counseling per operatori pastorali ed ha la sua sede legale ed operativa a Camaiore. È stato assistente spirituale dei medici cattolici della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli, canonico della basilica cattedrale di Massa ed autore di vari articoli riviste cattoliche. Collabora inoltre come docente di "psicologia della personalità" con la scuola "Edith Stein" di Savona che ha come scopo istituzionale la formazione di educatori di comunità ecclesiali. Nel 2005 è stato nominato cappellano di Sua Santità ed il 13 giugno 2009 ha ricevuto l'investitura quale cavaliere dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. A partire da tale data ha svolto il ruolo di assistente spirituale della delegazione di Massa Carrara-Pontremoli. Conseguentemente alla nomina a vescovo è stato elevato al rango di Grande Ufficiale dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Il 25 giugno 2010 papa Benedetto XVI lo ha nominato vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 15 settembre 2010 nella basilica cattedrale di Massa con l'imposizione delle mani da parte del suo predecessore, Mario Meini, ora vescovo di Fiesole, co-consacranti i vescovi Giovanni Santucci e Eugenio Binini; il 26 settembre ha preso possesso della diocesi. Dal 19 novembre 2012 al 10 agosto 2013 è stato chiamato a ricoprire anche l'ufficio di amministratore apostolico della diocesi di Grosseto.
Opere Guglielmo Borghetti, Educare. Per una pienezza di vita, Edizioni Chiesa Mondo, 2012.
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Storia/Personalità di Avenza
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E' stato un partigiano e politico italiano. Nato in una famiglia modesta (il padre e i cugini gestivano una cantina), già nell'infanzia sente parlare di Gino Menconi, di Gino Lucetti e di Stefano Vatteroni, stato vicino di casa dei suoi. I tre erano conosciuti per il loro orientamento e il loro impegno politico antifascista: Lucetti e Vatteroni erano già in carcere da anni, mentre Gino Menconi, diventato dirigente nazionale del Partito Comunista, era in giro per il mondo, per organizzare gli antifascisti esuli e fuorusciti e sarebbe stato arrestato di lì a poco, nel 1932, a Napoli, nel pieno della sua attività, durante un’ispezione. Finite le elementari, i genitori, visti i suoi buoni profitti scolastici, lo convinsero ad andare in un collegio di religiosi, a Collesalvetti per poter continuare gli studi. Anche l'esperienza del collegio contribuisce a farlo maturare, fino al punto che nel 1943, dopo l' 8 settembre diventerà partigiano; poco dopo il 17 agosto del 1944 nei pressi di Bardine di San Terenzo monti (SP), ad appena 17 anni, viene ferito e perde un braccio, nel primo scontro della Brigata Ulivi comandata da Alessandro Brucellaria detto Memo. Nello scontro il 16º battaglione delle SS tedesche composto da 17 militari perde 16 uomini mentre tra i partigiani cade Venturini e Vatteroni risulta l'unico ferito grave.
Dopo la guerra sarà dirigente della sezione del PCI di Avenza, quella che porta il nome di Gino Menconi e membro di vari organismi provinciali. Frequenta la Scuola delle Frattocchie e sarà uno dei segretari di Luigi Longo, vicesegretario del PCI. Per il prestigio di cui gode anche grazie al conferimento della medaglia d’oro, l’ Associazione Nazionale Partigiani d'Italia avanza la proposta di una sua utilizzazione presso di sé. Sarà anche ininterrottamente membro dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci.
Muore a Roma il 6 aprile 2008 all'ospedale San Camillo all'età di 86 anni.
Il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano lo ha ricordato con queste parole: "Giovane studente, a soli diciassette anni Vatteroni aderì al movimento partigiano e combatté contro i nazifascisti con grande coraggio e passione civile, riportando gravi ferite e meritando la medaglia d’oro al valor militare. L’invalidità conseguita nella lotta partigiana non gli impedì di continuare nel suo impegno politico e civile, e il suo contributo alla difesa e alla valorizzazione del patrimonio della resistenza, alla tutela delle istituzioni democratiche e contro il terrorismo non sarà dimenticato." Avenza, 12 aprile 1921 – Roma, 6 aprile 2008)
Sabato 08 Febbraio 2014 | 3389 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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Storia/Storia di Avenza
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La Via Francigena che da Canterbury portava a Roma è un itinerario della storia, una via maestra percorsa in passato da migliaia di pellegrini in viaggio per Roma. Fu soprattutto all'inizio del secondo millenio che l'Europa fu percorsa da una moltitudine di anime "alla ricerca della Perduta Patria Celeste". Questa via attesta infatti l'importanza del pellegrinaggio in epoca medioevale: esso doveva compiersi prevalentemente a piedi (per ragioni penitenziali) con un percorso di 20-25 kilometri al giorno e portava in sè un fondamentale aspetto devozionale: il pellegrinaggio ai Luoghi Santi della religione cristiana. E' noto come tre fossero i poli di attrazione per questa umanità in cammino: innanzitutto Roma, luogo del martirio dei Santi Pietro e Paolo; Santiago de Compostela, dove l'apostolo San Giacomo aveva scelto di riposare in pace e naturalmente Gerusalemme in Terra Santa. Il pellegrino inoltre non viaggiava isolato ma in gruppo e portava le insegne del pellegrinaggio (la conchiglia per Santiago de Compostela, la croce per Gerusalemme, la chiave per San Pietro a Roma). Va detto che queste vie di pellegrinaggio erano allo stesso tempo vie di intensi scambi e commerci e che le stesse venivano percorse dagli eserciti nei loro spostamenti. A partire dal 1994 la Via Francigena è stata dichiarata "Itinerario Culturale del Consiglio d'Europa" assumendo, alla pari del Cammino di Santiago, una dignità sovranazionale. Il progetto si basa, nelle sue linee essenziali, sul diario di viaggio di Sigerico, Arcivescovo di Canterbury, una preziosa testimonianza del tragitto compiuto dal prelato da Roma a Calais (79 giorni di cammino effettivo, oltre 1600 chilometri percorsi) e una nitida testimonianza di un Europa in viaggio, figlia della strada, a cavallo dell'anno mille.
Giovedì 02 Giugno 2011 | 3411 hits | Stampa | PDF | E-mail | Dati non corretti? Inviaci la tua segnalazione
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